domenica 10 febbraio 2013

Agguato nella notte



Uno degli articoli fondamentali del Codice Penale dell’Esercito è il 137 il quale non lascia alcun dubbio sulla pena da infliggere agli imputati ritenuti colpevoli di diserzione con passaggio al nemico. Detto articolo suona così: “Il militare che passerà al nemico, sarà immediatamente considerato disertore e punito di morte previa degradazione”. Sotto la mannaia di queste terribili parole finirono accusati dai loro ufficiali un caporale e quattro soldati comandati in servizio di sentinella nei piccoli posti. Con il termine “piccoli posti” si indicavano quelle buche dove nuclei di soldati vigilavano antistanti le trincee e servivano a dare il segnale di immediato pericolo ai reparti sostanti nelle trincee stesse. E’ evidente che nei piccoli posti i soldati occupavano posizioni le più avanzate e vicine al nemico e non protette da reticolati.
La storia che documentiamo capitò a cinque militari appartenenti al 72° reggimento fanteria del 3° battaglione, 9° compagnia. Nella notte a cavallo tra il 14 e 15 luglio 1916 intorno alle ore 2 quei soldati erano stati comandati al turno di vigilanza numero 4 posizione questa con altre simili distanti l’una dall’altra una cinquantina di passi e che costituivano le località più esposte al nemico prima della terra di nessuno. In quella notte un vero uragano si era scatenato dal cielo. La pioggia sferzante e un vento impetuoso piegava le piante fino a terra, ne spezzava i rami, ululava in un turbinio spaventoso che solo la natura sa compiere. In quelle località la violenza vorticosa dell’inclemenza del tempo non era una eccezione. Siamo nella Vallarsa, nel profondo percorso del torrente Leno, che lambisce con le irregolari sue acque un certo tratto della base del massiccio del Pasubio. In quel punto, non lontano dal Forte di Pozzacchio, lungo la prima linea di difesa italiana presidiavano lo sbarramento da possibili incursioni austriache i reparti del 72° reggimento fanteria. In quel metà mese di luglio del 1916, da poco era scemato lo sconvolgente attacco della Strafexpedition, che proprio lungo la Vallarsa aveva cercato, e quasi vi riuscì, ad aprirsi la via per raggiungere il Pian delle Fugazze e da lì calare nella pianura veneta. Diversi fattori impedirono la realizzazione del piano austriaco, non ultimo l’eroismo dei soldati italiani, che inizialmente furono, in molti reparti, sorpresi e impauriti dal fuoco di centinaia di cannoni e si sbandarono, ma poi, ritrovata la calma, si opposero tenacemente alle mire austriache. Pur diminuito il pericolo, il percorso del Leno di Vallarsa costituiva sempre per i comandi imperiali la via per aggirare e conquistare il Pasubio, insuperabile ostacolo ai loro piani. Quindi il tratto di sbarramento del 72° reggimento fanteria sul Leno costituiva una posizione di fondamentale importanza. I cinque soldati della piccola guardia numero 4, pur nella situazione atmosferica accennata vigilavano coscienziosamente svegli. Poi sparirono. Non si sa per quanto tempo la postazione restò deserta. I soldati della piccola guardia numero tre, distanti una quarantina di metri, non se ne accorsero della scomparsa dei vicini soldati, non udirono grida, rumori, concitazioni, spari o altri avvertimenti sospetti. Tuttavia l’intervallo di tempo del vuoto di vigilanza non fu lungo. Un ufficiale in perlustrazione dei posti avanzati scoperse la pericolosa discontinuità della sorveglianza e dopo aver provveduto a ripristinare la linea, denunciò con un rapporto ciò che vide. Da tale denuncia riportiamo alcuni brani: “Una piccola guardia collocata in località esposta al nemico e a breve distanza da esso scomparve lasciando sul posto le coperte, i teli, ed avanzi di viveri di riserva consumati, inoltre a pochi passi verso il nemico due giberne piene di munizioni…” Da questa testimonianza e da altre considerazioni il comando della 3° Compagnia del 72° reggimento fanteria arrivava alla conclusione-denuncia: “Non rimane altra ipotesi che quella della scomparsa per volontaria diserzione ed in tale convincimento questo comando denuncia gli infrascritti militari al Tribunale Militare di Guerra del V Corpo d’Armata per reato previsto dall’articolo 137 e seguenti significando che gli incriminati sono tuttora irreperibili”.
Chi erano dunque questi cinque soldati, non indiziati, ma rei certi, secondo la denuncia del loro comando di compagnia, di codardia e viltà sfociata nella diserzione con passaggio al nemico?
Il primo era un caporale mantovano. Si chiamava Carpeggiani Guido di Ermenegildo e Negrini Selene nato a Sustinente il 10 ottobre 1891. Contadino alfabeta, celibe e incensurato. Partecipò alla guerra di Libia con il 4° reggimento Fanteria e rimase in Tripolitania dal 13 gennaio 1913 al 24 novembre 1913. Dopo la chiamata alle armi per mobilitazione il 23.5.1915 fu mandato in territorio di guerra, zona d’operazione, con il 72° reggimento Fanteria. Il Carpeggiani era tenuto in buona considerazione dai suoi superiori per la condotta di soldato serio e mai punito e ritenuto incapace di azioni cattive che potessero scaturire dal suo animo tranquillo e rigoroso. Un profilo di condotta non così benigno poteva avere il soldato Spezie Giuseppe di Florindo e Lobiselli Maria nato a Verona il 25.2.1888, matricola n. 22266. Lavorava nella vita civile come facchino ed era analfabeta. Da militare fu più volte rimproverato e punito. Si assentò arbitrariamente nel viaggio di trasferimento da Taranto a Vicenza e quindi severamente punito. “Dal carattere poco affidabile, astuto e subdolo eseguiva male e svogliatamente gli ordini e marcava visita medica di frequente”. 1
Il terzo soldato era un salernitano di nome Izzo Donato. Di lui diamo per ora il solo giudizio sulla condotta riservandoci di parlarne più diffusamente a parte di quanto racconteremo essendo la vicenda umana di Izzo pietosa e infelice. Il comando della 3° compagnia scrisse sul comportamento di Izzo: “ (soldato che) proviene dal Deposito del 22° reggimento fanteria e qui dal 2.3.1916. Non ebbe mai punizioni. Di carattere taciturno e timido, facilmente suggestionabile era però buon ragazzo incapace di fare del male di sua iniziativa”.
Il quarto soldato di nome Lazzarini Giorgio di Romualdo e Paoli Regina nato a Bressago il 24.9.1885; il quinto soldato si chiamava Caimi Marco, era nato a Solbiate Olona il 19.2.1885 e nella vita civile faceva il manovale. Entrambi incensurati, i due militari erano stati aggregati alla 3° compagnia del 72° reggimento da pochi giorni e provenivano dal 41° reggimento fanteria. Gli ufficiali della terza compagnia non poterono dare un giudizio sul loro carattere e la loro disciplina.
Dopo la sparizione dei soldati e l’atto di accusa del comando non passò molto tempo quando la censura intercettò una cartolina della Croce Rossa scritta da Caimi che attestava trovarsi egli nel campo di concentramento di prigionieri di guerra a Mathausen. Una nuova lettera fu intercettata dalla censura. Questa volta a scrivere era Lazzarini Giorgio che si rivolgeva al sindaco del suo Comune di Brissago spiegando in termini chiari ciò che avvenne in quella tempestosa notte in cui sparirono dalla piccola guardia numero quattro.
“Siccome la mia famiglia mi scrive che non riceve più il sussidio2 (era una barbarica rivalsa sulle famiglie dei disertori) e mi chiede il modo nel quale fui fatto prigioniero. Alle 12 di notte del 14-15 luglio 1916 fui messo colla squadra di piccoli posti sulla posizione di Vallarsa (Trento) fummo portati dal sottotenente di cui non ricordo il nome con la consegna di stare attenti al nemico ma di non sparare per alcun motivo”. La parola d’ordine era: “buona fine”. A pena l’ufficiale si fù allontanato dai piccoli posti, una pattuglia austriaca ci circondò all’improvviso e ci prese prigionieri io mi trovai circondato da tre baionette eravamo in quattro soldati e un caporale. So solo il nome di un compagno Caimi Marco il quale è prigioniero in questo campo”. La lettera fu completata dalla dichiarazione di Caimi Marco. “ Io sottoscritto Caimi Marco trovandomi assieme a Lazzarini Giorgio attesto lo scritto il giorno in cui fummo prigionieri. Tuchow 23.6.1918.
La lettera al sindaco di Brissago non ottenne l’effetto sperato. Lazzarini Giorgio ricevette nel campo di Mathausen altre richieste informative sul modo come fu preso quella fatale notte di metà luglio. Allora egli pensò di scrivere alla Croce Rossa Italiana: “ Da mesi mi provengono cartoline che mi chiedono informazioni sul modo in cui sono stato preso. Ho già scritto al sindaco ora mi rivolgo a questo Rispettabile Comitato (C.R.I.). La notte del 14 luglio mi trovavo di piccolo posto, e data la profonda oscurità ed un forte uragano non potei sentire il rumore di una pattuglia nemica che si avanzava di forza maggiore a noi di bensì quattro volte. Ecco questo è il modo della mia prigionia che prego informare anche il reggimento”.
Alla fine della guerra i prigionieri italiani furono liberati e poterono ritornare in patria. Carpeggiani Guido rientrò a Governolo il 10 novembre 1918, vestito in borghese, e mentre si informava dove era il campo di concentramento per consegnarsi fu arrestato e condotto nel carcere militare di Peschiera a disposizione del Tribunale di Guerra del V Corpo d’Armata. Spezie Giuseppe tornò a Verona sul finire di novembre proveniente da un campo dell’Erzegovina. Rientrarono anche Lazzarini Giorgio e Caimi Marco che furono concentrati nel campo di Mirandola. I quattro soldati furono interrogato dal giudice istruttore del citato Tribunale. Carpeggiani Guido descrisse il luogo della Vallarsa dove si trovava il piccolo posto a lui assegnato e aggiunse: “ Nel cuore della notte tempestosa, si scagliarono di sorpresa su di noi gli austriaci che ci misero le baionette alla gola e non ci dettero il tempo di gridare. Fummo tutti fatti prigionieri i vicini non intesero niente per la fulmineità della sorpresa e impossibilità di gridare anche per il vento burrascoso che rovesciava persino le piante dimodoché era facile che gli altri non sentissero niente. Fummo mandati tutti a Mathausen. Con me sempre c’era Izzo Donato fino all’ottobre 1917. Sono in abiti civili perché quelli militari si logorarono. Fui liberato dagli austriaci il 2 novembre 1918 e mi presentai. La piccola guardia dava due vedette ed erano staccate dal posto di guardia di tre metri, ma non potevano essere viste da me perché il sentiero in quel punto faceva una svolta. Eravamo svegli, le vedette non diedero alcun allarme, forse perché sopraffatte dal nemico in un attimo. Gli austriaci circa 7 od 8 ci imposero di lasciare giberne e fucili così facemmo e non potemmo ribellarci o gridare aiuto perché minacciati da loro di morte con le punte delle baionette alla gola fummo costretti a lasciare anche le coperte e i viveri di riserva”.
Il verbale d’interrogatorio di Carpeggiani fu confrontato con quelli di Caimi e Lazzarini. Quest’ultimo, ribadendo che pioveva a dirotto e tirava un vento fortissimo, confermavano la drammaticità in cui furono fatti prigionieri dagli austriaci. Carpeggiani disse pure che divise lunghi mesi di campo di concentramento col soldato Izzo Donato fino all’ottobre 1917 quando la malattia del salernitano li divise. Izzo era un buon giovane, mite di carattere che da civile lavorava i campi nella sua provincia di Salerno. Era analfabeta, ma non per questo stupido o grossolano. Pure i suoi diretti superiori militari lo giudicavano benevolmente per la sua ottima condotta e disarmante bontà d’animo. Nella prigionia di Mathausen le sue condizioni di salute fisica e mentale apparirono gravemente compromesse. Nei periodici scambi di prigionieri italo austriaci3 (Carlo Emilio Gadda nel suo Giornale di guerra e prigionia accenna ad un trattato conchiuso tra il governo tedesco e quello italiano riguardante lo scambio dei feriti e ammalati gravi. Con il Governo austriaco l’Italia aveva firmato tale accordo già da tempo prima)., ritenuti nel cammino verso la morte in condizioni irreversibili, Izzo fu ritenuto tra gli irrecuperabili e messo nel gruppo degli ammalati liberati e rimpatriati. Venne ricoverato all’ospedale militare di Monza e l’11 marzo 1918 Izzo Donato fu accolto nell’ospedale militare di riserva di Mombello, famoso manicomio conosciuto in tutta Italia, dove furono confermate le gravi condizioni fisiche e mentali Poiché il 24.7.1916 contro Izzo Donato era stato spiccato il mandato di cattura, i carabinieri andarono a Mombello per arrestarlo, ma trovarono l’opposizione del personale medico che assicurò che il soldato ammalato “non potrà per lungo tempo essere in grado di rispondere in giudizio”. Izzo disse tuttavia che nella notte del 15 luglio egli fece l’atto di sparare, ma gli austriaci più rapidi gli misero la punta delle baionetta sul collo. Il Tribunale Militare di Guerra del V C.A. ordinò che si procedesse ad una perizia medica per precisare e conoscere le condizioni di salute del soldato. Il direttore dell’ospedale psichiatrico di Mombello, pur presupponendo un precedente stato di anormali disordini mentali, riportò nella relazione psichiatrica le osservazioni che qui in stralci riportiamo. “Confusione mentale, disturbi sensori. Ricorda del servizio al numero 4 del piccolo posto e che in prima sera vennero sorpresi dagli austriaci che erano più di tre, dice, e i soldati italiani fecero l’atto di sparare. Ma si confonde e non è attendibile. Il soldato è emaciato, debole, confuso. Non risponde o risponde a stento. Riferisce confusamente di una malattia alla testa che durò tre mesi durante il servizio militare. Fu ferito alla regione inguinale da scheggia di granata e venne curato all’ospedale militare di Cervignano. Completamente disorientato crede di essere ancora dagli austriaci –qui siamo in Austria non è vero che siamo a Milano. A Mathausen mi volevano ammazzare ora mi ammazzano qui-. Ebbe una emorragia interna, curata, è un individuo tubercoloso e quando tossisce emette sputi sanguigni, ha febbre. Migliorato negli ultimi tempi, ma sempre a letto, livido di sudore. Dice frasi sconclusionate: “Sono di Salerno, ma siamo in Austria; ho 95 anni, ho i genitori” . Sei soldato? “sì che son soldato, ma non so”. Confuso apatico però ordinato nella persona. Vive isolato dagli altri, non parla mai, dorme di notte e si alimenta abbondantemente. Presenta lingua impaniata, dolenza alla regione appendicolare, ventre a barca, non milza, non fegato, tosse, non si garantisce l’apice sinistro. Demenza precoce. Non è quindi ora perseguibile ed è in condizioni da non aver responsabilità penali”.
Dopo questo quadro drammatico sulle condizioni esistenziali di un uomo, venne la conclusione finale: “ Presuppone un precedente stato di anormali disordini mentali deve essere passato al manicomio della sua provincia”. Come si può arguire se ci sono stati precedenti di “anormali disordini mentali” lo sconvolgimento mentale e fisico sono da attribuire alle fatiche e agli orrori della guerra. Il giudice istruttore presso il Tribunale di guerra del V Corpo d’Armata vista la perizia medico psichiatrica riguardante Izzo Donato ordinava non farsi luogo a procedimento per inesistenza di reato e ordinava il ricovero del soldato nel manicomio della sua provincia.
Gli altri quattro soldati furono processati. La sentenza del Tribunale di guerra del V Corpo d’Armata non è conservata nei documenti forse perché tali tribunali dopo la fine del conflitto furono soppressi. Per quanto si sa le sentenze di tali tribunali erano severissime e repressive. I quattro soldati furono invece giudicati dal Tribunale Territoriale di Marostica. Carpeggiani Guido al rientro dalla prigionia in Italia dopo l’arresto e la detenzione nel carcere di Peschiera fu giudicato il 15.5.1919 e assolto per inesistenza di reato. Spezie Giuseppe dopo il rientro dalla prigionia l’11.11.1918 fu assegnato nel Deposito dell’80° reggimento fanteria. Processato e assolto fu messo poi in congedi illimitato 2.9.1919. Morì a Verona il 5.4.1921. La stessa favorevole sentenza toccò a Lazzarini Giorgio e Caimi Marco.

11 Dal certificato penale Spezie Giuseppe figurava censurato con multa per lesioni e assolto per non provata reità e segnalato un ammutinamento (non precisato) dal V corpo d’Armata

2 era una barbarica rivalsa sulle famiglie dei disertori
3 Carlo Emilio Gadda nel suo Giornale di guerra e prigionia accenna ad un trattato conchiuso tra il governo tedesco e quello italiano riguardante lo scambio dei feriti e ammalati gravi. Con il Governo austriaco l’Italia aveva firmato tale accordo già da tempo prima).,

Nessun commento:

Posta un commento