Uno degli articoli
fondamentali del Codice Penale dell’Esercito è il 137 il quale non
lascia alcun dubbio sulla pena da infliggere agli imputati ritenuti
colpevoli di diserzione con passaggio al nemico. Detto articolo suona
così: “Il militare che passerà al nemico, sarà immediatamente
considerato disertore e punito di morte previa degradazione”. Sotto
la mannaia di queste terribili parole finirono accusati dai loro
ufficiali un caporale e quattro soldati comandati in servizio di
sentinella nei piccoli posti. Con il termine “piccoli posti” si
indicavano quelle buche dove nuclei di soldati vigilavano antistanti
le trincee e servivano a dare il segnale di immediato pericolo ai
reparti sostanti nelle trincee stesse. E’ evidente che nei piccoli
posti i soldati occupavano posizioni le più avanzate e vicine al
nemico e non protette da reticolati.
La storia che documentiamo
capitò a cinque militari appartenenti al 72° reggimento fanteria
del 3° battaglione, 9° compagnia. Nella notte a cavallo tra il 14 e
15 luglio 1916 intorno alle ore 2 quei soldati erano stati comandati
al turno di vigilanza numero 4 posizione questa con altre simili
distanti l’una dall’altra una cinquantina di passi e che
costituivano le località più esposte al nemico prima della terra di
nessuno. In quella notte un vero uragano si era scatenato dal cielo.
La pioggia sferzante e un vento impetuoso piegava le piante fino a
terra, ne spezzava i rami, ululava in un turbinio spaventoso che solo
la natura sa compiere. In quelle località la violenza vorticosa
dell’inclemenza del tempo non era una eccezione. Siamo nella
Vallarsa, nel profondo percorso del torrente Leno, che lambisce con
le irregolari sue acque un certo tratto della base del massiccio del
Pasubio. In quel punto, non lontano dal Forte di Pozzacchio, lungo la
prima linea di difesa italiana presidiavano lo sbarramento da
possibili incursioni austriache i reparti del 72° reggimento
fanteria. In quel metà mese di luglio del 1916, da poco era scemato
lo sconvolgente attacco della Strafexpedition, che proprio lungo la
Vallarsa aveva cercato, e quasi vi riuscì, ad aprirsi la via per
raggiungere il Pian delle Fugazze e da lì calare nella pianura
veneta. Diversi fattori impedirono la realizzazione del piano
austriaco, non ultimo l’eroismo dei soldati italiani, che
inizialmente furono, in molti reparti, sorpresi e impauriti dal fuoco
di centinaia di cannoni e si sbandarono, ma poi, ritrovata la calma,
si opposero tenacemente alle mire austriache. Pur diminuito il
pericolo, il percorso del Leno di Vallarsa costituiva sempre per i
comandi imperiali la via per aggirare e conquistare il Pasubio,
insuperabile ostacolo ai loro piani. Quindi il tratto di sbarramento
del 72° reggimento fanteria sul Leno costituiva una posizione di
fondamentale importanza. I cinque soldati della piccola guardia
numero 4, pur nella situazione atmosferica accennata vigilavano
coscienziosamente svegli. Poi sparirono. Non si sa per quanto tempo
la postazione restò deserta. I soldati della piccola guardia numero
tre, distanti una quarantina di metri, non se ne accorsero della
scomparsa dei vicini soldati, non udirono grida, rumori,
concitazioni, spari o altri avvertimenti sospetti. Tuttavia
l’intervallo di tempo del vuoto di vigilanza non fu lungo. Un
ufficiale in perlustrazione dei posti avanzati scoperse la pericolosa
discontinuità della sorveglianza e dopo aver provveduto a
ripristinare la linea, denunciò con un rapporto ciò che vide. Da
tale denuncia riportiamo alcuni brani: “Una piccola guardia
collocata in località esposta al nemico e a breve distanza da esso
scomparve lasciando sul posto le coperte, i teli, ed avanzi di viveri
di riserva consumati, inoltre a pochi passi verso il nemico due
giberne piene di munizioni…” Da questa testimonianza e da altre
considerazioni il comando della 3° Compagnia del 72° reggimento
fanteria arrivava alla conclusione-denuncia: “Non rimane altra
ipotesi che quella della scomparsa per volontaria diserzione ed in
tale convincimento questo comando denuncia gli infrascritti militari
al Tribunale Militare di Guerra del V Corpo d’Armata per reato
previsto dall’articolo 137 e seguenti significando che gli
incriminati sono tuttora irreperibili”.
Chi erano dunque questi
cinque soldati, non indiziati, ma rei certi, secondo la denuncia del
loro comando di compagnia, di codardia e viltà sfociata nella
diserzione con passaggio al nemico?
Il primo era un caporale
mantovano. Si chiamava Carpeggiani Guido di Ermenegildo e Negrini
Selene nato a Sustinente il 10 ottobre 1891. Contadino alfabeta,
celibe e incensurato. Partecipò alla guerra di Libia con il 4°
reggimento Fanteria e rimase in Tripolitania dal 13 gennaio 1913 al
24 novembre 1913. Dopo la chiamata alle armi per mobilitazione il
23.5.1915 fu mandato in territorio di guerra, zona d’operazione,
con il 72° reggimento Fanteria. Il Carpeggiani era tenuto in buona
considerazione dai suoi superiori per la condotta di soldato serio e
mai punito e ritenuto incapace di azioni cattive che potessero
scaturire dal suo animo tranquillo e rigoroso. Un profilo di condotta
non così benigno poteva avere il soldato Spezie Giuseppe di Florindo
e Lobiselli Maria nato a Verona il 25.2.1888, matricola n. 22266.
Lavorava nella vita civile come facchino ed era analfabeta. Da
militare fu più volte rimproverato e punito. Si assentò
arbitrariamente nel viaggio di trasferimento da Taranto a Vicenza e
quindi severamente punito. “Dal carattere poco affidabile, astuto e
subdolo eseguiva male e svogliatamente gli ordini e marcava visita
medica di frequente”. 1
Il terzo soldato era un
salernitano di nome Izzo Donato. Di lui diamo per ora il solo
giudizio sulla condotta riservandoci di parlarne più diffusamente a
parte di quanto racconteremo essendo la vicenda umana di Izzo pietosa
e infelice. Il comando della 3° compagnia scrisse sul comportamento
di Izzo: “ (soldato che) proviene dal Deposito del 22° reggimento
fanteria e qui dal 2.3.1916. Non ebbe mai punizioni. Di carattere
taciturno e timido, facilmente suggestionabile era però buon ragazzo
incapace di fare del male di sua iniziativa”.
Il quarto soldato di nome
Lazzarini Giorgio di Romualdo e Paoli Regina nato a Bressago il
24.9.1885; il quinto soldato si chiamava Caimi Marco, era nato a
Solbiate Olona il 19.2.1885 e nella vita civile faceva il manovale.
Entrambi incensurati, i due militari erano stati aggregati alla 3°
compagnia del 72° reggimento da pochi giorni e provenivano dal 41°
reggimento fanteria. Gli ufficiali della terza compagnia non poterono
dare un giudizio sul loro carattere e la loro disciplina.
Dopo la sparizione dei
soldati e l’atto di accusa del comando non passò molto tempo
quando la censura intercettò una cartolina della Croce Rossa scritta
da Caimi che attestava trovarsi egli nel campo di concentramento di
prigionieri di guerra a Mathausen. Una nuova lettera fu intercettata
dalla censura. Questa volta a scrivere era Lazzarini Giorgio che si
rivolgeva al sindaco del suo Comune di Brissago spiegando in termini
chiari ciò che avvenne in quella tempestosa notte in cui sparirono
dalla piccola guardia numero quattro.
“Siccome la mia
famiglia mi scrive che non riceve più il sussidio2
(era una barbarica rivalsa sulle famiglie dei disertori) e mi chiede
il modo nel quale fui fatto prigioniero. Alle 12 di notte del 14-15
luglio 1916 fui messo colla squadra di piccoli posti sulla posizione
di Vallarsa (Trento) fummo portati dal sottotenente di cui non
ricordo il nome con la consegna di stare attenti al nemico ma di non
sparare per alcun motivo”. La parola d’ordine era: “buona
fine”. A pena l’ufficiale si fù allontanato dai piccoli posti,
una pattuglia austriaca ci circondò all’improvviso e ci prese
prigionieri io mi trovai circondato da tre baionette eravamo in
quattro soldati e un caporale. So solo il nome di un compagno Caimi
Marco il quale è prigioniero in questo campo”. La lettera fu
completata dalla dichiarazione di Caimi Marco. “ Io sottoscritto
Caimi Marco trovandomi assieme a Lazzarini Giorgio attesto lo scritto
il giorno in cui fummo prigionieri. Tuchow 23.6.1918.
La lettera al sindaco di
Brissago non ottenne l’effetto sperato. Lazzarini Giorgio ricevette
nel campo di Mathausen altre richieste informative sul modo come fu
preso quella fatale notte di metà luglio. Allora egli pensò di
scrivere alla Croce Rossa Italiana: “ Da mesi mi provengono
cartoline che mi chiedono informazioni sul modo in cui sono stato
preso. Ho già scritto al sindaco ora mi rivolgo a questo
Rispettabile Comitato (C.R.I.). La notte del 14 luglio mi trovavo di
piccolo posto, e data la profonda oscurità ed un forte uragano non
potei sentire il rumore di una pattuglia nemica che si avanzava di
forza maggiore a noi di bensì quattro volte. Ecco questo è il modo
della mia prigionia che prego informare anche il reggimento”.
Alla fine della guerra i
prigionieri italiani furono liberati e poterono ritornare in patria.
Carpeggiani Guido rientrò a Governolo il 10 novembre 1918, vestito
in borghese, e mentre si informava dove era il campo di
concentramento per consegnarsi fu arrestato e condotto nel carcere
militare di Peschiera a disposizione del Tribunale di Guerra del V
Corpo d’Armata. Spezie Giuseppe tornò a Verona sul finire di
novembre proveniente da un campo dell’Erzegovina. Rientrarono anche
Lazzarini Giorgio e Caimi Marco che furono concentrati nel campo di
Mirandola. I quattro soldati furono interrogato dal giudice
istruttore del citato Tribunale. Carpeggiani Guido descrisse il
luogo della Vallarsa dove si trovava il piccolo posto a lui assegnato
e aggiunse: “ Nel cuore della notte tempestosa, si scagliarono di
sorpresa su di noi gli austriaci che ci misero le baionette alla gola
e non ci dettero il tempo di gridare. Fummo tutti fatti prigionieri i
vicini non intesero niente per la fulmineità della sorpresa e
impossibilità di gridare anche per il vento burrascoso che
rovesciava persino le piante dimodoché era facile che gli altri non
sentissero niente. Fummo mandati tutti a Mathausen. Con me sempre
c’era Izzo Donato fino all’ottobre 1917. Sono in abiti civili
perché quelli militari si logorarono. Fui liberato dagli austriaci
il 2 novembre 1918 e mi presentai. La piccola guardia dava due
vedette ed erano staccate dal posto di guardia di tre metri, ma non
potevano essere viste da me perché il sentiero in quel punto faceva
una svolta. Eravamo svegli, le vedette non diedero alcun allarme,
forse perché sopraffatte dal nemico in un attimo. Gli austriaci
circa 7 od 8 ci imposero di lasciare giberne e fucili così facemmo e
non potemmo ribellarci o gridare aiuto perché minacciati da loro di
morte con le punte delle baionette alla gola fummo costretti a
lasciare anche le coperte e i viveri di riserva”.
Il verbale
d’interrogatorio di Carpeggiani fu confrontato con quelli di Caimi
e Lazzarini. Quest’ultimo, ribadendo che pioveva a dirotto e tirava
un vento fortissimo, confermavano la drammaticità in cui furono
fatti prigionieri dagli austriaci. Carpeggiani disse pure che divise
lunghi mesi di campo di concentramento col soldato Izzo Donato fino
all’ottobre 1917 quando la malattia del salernitano li divise. Izzo
era un buon giovane, mite di carattere che da civile lavorava i campi
nella sua provincia di Salerno. Era analfabeta, ma non per questo
stupido o grossolano. Pure i suoi diretti superiori militari lo
giudicavano benevolmente per la sua ottima condotta e disarmante
bontà d’animo. Nella prigionia di Mathausen le sue condizioni di
salute fisica e mentale apparirono gravemente compromesse. Nei
periodici scambi di prigionieri italo austriaci3
(Carlo Emilio Gadda nel suo Giornale di guerra e prigionia accenna ad
un trattato conchiuso tra il governo tedesco e quello italiano
riguardante lo scambio dei feriti e ammalati gravi. Con il Governo
austriaco l’Italia aveva firmato tale accordo già da tempo
prima)., ritenuti nel cammino verso la morte in condizioni
irreversibili, Izzo fu ritenuto tra gli irrecuperabili e messo nel
gruppo degli ammalati liberati e rimpatriati. Venne ricoverato
all’ospedale militare di Monza e l’11 marzo 1918 Izzo Donato fu
accolto nell’ospedale militare di riserva di Mombello, famoso
manicomio conosciuto in tutta Italia, dove furono confermate le gravi
condizioni fisiche e mentali Poiché il 24.7.1916 contro Izzo Donato
era stato spiccato il mandato di cattura, i carabinieri andarono a
Mombello per arrestarlo, ma trovarono l’opposizione del personale
medico che assicurò che il soldato ammalato “non potrà per lungo
tempo essere in grado di rispondere in giudizio”. Izzo disse
tuttavia che nella notte del 15 luglio egli fece l’atto di sparare,
ma gli austriaci più rapidi gli misero la punta delle baionetta sul
collo. Il Tribunale Militare di Guerra del V C.A. ordinò che si
procedesse ad una perizia medica per precisare e conoscere le
condizioni di salute del soldato. Il direttore dell’ospedale
psichiatrico di Mombello, pur presupponendo un precedente stato di
anormali disordini mentali, riportò nella relazione psichiatrica le
osservazioni che qui in stralci riportiamo. “Confusione mentale,
disturbi sensori. Ricorda del servizio al numero 4 del piccolo posto
e che in prima sera vennero sorpresi dagli austriaci che erano più
di tre, dice, e i soldati italiani fecero l’atto di sparare. Ma si
confonde e non è attendibile. Il soldato è emaciato, debole,
confuso. Non risponde o risponde a stento. Riferisce confusamente di
una malattia alla testa che durò tre mesi durante il servizio
militare. Fu ferito alla regione inguinale da scheggia di granata e
venne curato all’ospedale militare di Cervignano. Completamente
disorientato crede di essere ancora dagli austriaci –qui siamo in
Austria non è vero che siamo a Milano. A Mathausen mi volevano
ammazzare ora mi ammazzano qui-. Ebbe una emorragia interna, curata,
è un individuo tubercoloso e quando tossisce emette sputi sanguigni,
ha febbre. Migliorato negli ultimi tempi, ma sempre a letto, livido
di sudore. Dice frasi sconclusionate: “Sono di Salerno, ma siamo in
Austria; ho 95 anni, ho i genitori” . Sei soldato? “sì che son
soldato, ma non so”. Confuso apatico però ordinato nella persona.
Vive isolato dagli altri, non parla mai, dorme di notte e si alimenta
abbondantemente. Presenta lingua impaniata, dolenza alla regione
appendicolare, ventre a barca, non milza, non fegato, tosse, non si
garantisce l’apice sinistro. Demenza precoce. Non è quindi ora
perseguibile ed è in condizioni da non aver responsabilità penali”.
Dopo questo quadro
drammatico sulle condizioni esistenziali di un uomo, venne la
conclusione finale: “ Presuppone un precedente stato di anormali
disordini mentali deve essere passato al manicomio della sua
provincia”. Come si può arguire se ci sono stati precedenti di
“anormali disordini mentali” lo sconvolgimento mentale e fisico
sono da attribuire alle fatiche e agli orrori della guerra. Il
giudice istruttore presso il Tribunale di guerra del V Corpo d’Armata
vista la perizia medico psichiatrica riguardante Izzo Donato ordinava
non farsi luogo a procedimento per inesistenza di reato e ordinava il
ricovero del soldato nel manicomio della sua provincia.
Gli altri quattro soldati
furono processati. La sentenza del Tribunale di guerra del V Corpo
d’Armata non è conservata nei documenti forse perché tali
tribunali dopo la fine del conflitto furono soppressi. Per quanto si
sa le sentenze di tali tribunali erano severissime e repressive. I
quattro soldati furono invece giudicati dal Tribunale Territoriale di
Marostica. Carpeggiani Guido al rientro dalla prigionia in Italia
dopo l’arresto e la detenzione nel carcere di Peschiera fu
giudicato il 15.5.1919 e assolto per inesistenza di reato. Spezie
Giuseppe dopo il rientro dalla prigionia l’11.11.1918 fu assegnato
nel Deposito dell’80° reggimento fanteria. Processato e assolto fu
messo poi in congedi illimitato 2.9.1919. Morì a Verona il 5.4.1921.
La stessa favorevole sentenza toccò a Lazzarini Giorgio e Caimi
Marco.
11
Dal certificato penale Spezie Giuseppe figurava censurato con multa
per lesioni e assolto per non provata reità e segnalato un
ammutinamento (non precisato) dal V corpo d’Armata
2
era una barbarica rivalsa sulle famiglie dei disertori
3
Carlo Emilio Gadda nel suo Giornale di guerra e prigionia accenna ad
un trattato conchiuso tra il governo tedesco e quello italiano
riguardante lo scambio dei feriti e ammalati gravi. Con il Governo
austriaco l’Italia aveva firmato tale accordo già da tempo
prima).,
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