Nelle
prime ore del 24 maggio 1915 il preordinato segnale d'avvio delle
operazioni di guerra squillò. Un lungo segnale di tromba fece
muovere le truppe del 6° reggimento Alpini che ammassate e
affardellate al di qua della frontiera italo-austriaca attendevano
l'inizio della guerra guerreggiata contro l'Austria. Superata la
linea ideale di confine a Passo Campione e divelti i cippi confinari,
tre compagnie del battaglione Verona e reparti di fanteria che erano
schierati sul massiccio del Baldo, s'avviarono all'interno del
territorio nemico in direzione della vetta del monte Altissimo. I
soldati avanzarono con cautela temendo insidie, che non c'erano,
perché gli austriaci si erano ritirati lasciando nel territorio
abbandonato solo qualche pattuglia di Stanschutzen. Gli alpini
raggiunsero in poche ore la cima dell'Altissimo. Per le compagnie del
battaglione Verona sembrò più una camminata turistica (termine
quest'ultimo allora non in voga) che una avanzata. Catturarono sette
soldati territoriali e due borghesi e li spedirono immantinentemente
a Verona. Il bollettino del Comando supremo diffuse il 27 maggio la
conquista che aveva fatto salire alle stelle l'euforia dei veronesi:
“ Nel Trentino fu occupato anche il Monte Altissimo di Monte Baldo
dove il nemico, costretto a ritirarsi, lasciò nelle nostre mani
ricoveri e materiale”.
Con il
giungere dei prigionieri in città si rafforzò la voce della
conquista dell'Altissimo e il giornale Arena diede subito
amplificazione agli eventi pubblicando in edizione straordinaria nel
pomeriggio del 28.5.1915 sulla conquista militare e sui prigionieri:
“ Parlavano perfettamente l'italiano ed esprimevano la loro
contentezza di non appartenere più alla tirannica monarchia degli
Asburgo”.
La
conquista della vetta montebaldina e delle località Corna Piana,
Postemone e monte Vignola diventava, per il momento la prima linea
italiana e allontanava la minaccia che poteva gravitare sulla nostra
provincia in caso d'attacco austriaco. Benchè le truppe italiane
della 1° Armata avessero come compiti assegnati dal Comando supremo
funzioni di rafforzamento delle difese dei territori conquistati,
l'iniziale mancata resistenza nemica, spingeva le nostre truppe a
proseguire l'avanzata. La 1° Armata che operava sui crinali delle
giudicarie e dei Lessini, aveva ai due dipendenti Corpi d'Armata il
XXIX e il V lasciato il compito di proseguire l'avanzata.
Il V
C.d'A aveva giurisdizione militare del settore Baldo-Lessini che
partiva dalla sponda orientale del Lago di Garda, risaliva il Monte
Baldo e superato l'acrocoro scendeva nella Val d'Adige per risalire
nuovamente i contrafforti dello Zugna. Il V C.d'A aveva suddiviso il
tratto di fronte ad esso pertinente in due settori: “Settore
sinistra Adige” e “Settore destra Adige”. Poiché nel caso
specifico tratteremo degli scontri armati avvenuti a Malga Zurez,
esamineremo solo il settore destra Adige che è il territorio
pertinente a quanto si scrive. Gli alpini del battaglione Verona,
fiancheggiati ora da compagnie del battaglione Val d'Adige scoprirono
meravigliati le formidabili opere militari incompiute fatte dagli
austriaci sull'Altissimo. Secondo i piani varati dagli austriaci
negli anni antecedenti la guerra austro-serba, una serie di forti
doveva essere completato sulla Vallarsa, la Valdadige, l'Altissimo.
Vienna avvertiva che in caso di guerra europea “l'amicizia” con
l'Italia si sarebbe decisamente guastata e per fermare al confini
l'esercito del re Vittorio e difendere la piazzaforte di Trento
occorreva completare la formidabile cintura di forti che dagli
altipiani di Vezzena, Lavarone e Folgaria avrebbe dovuto proseguire
verso Ovest fino all'Altissimo. Gli alpini guardavano stupiti ed
ammirati l'incompiuta opera militare che scavata nella roccia a quota
2079 avrebbe ospitato truppe imperiali nelle caserme dotate di
servizi, di gallerie e teleferiche. La sosta relativamente tranquilla
sui dossi, sui tratti prativi, nei boschi durò poco, anche perché i
comandi diedero l'avvio alla costruzione di una ragnatela di strade e
sentieri. Militarmente nell'estate si ebbero piccoli scontri e
piccoli avanzamenti, poi il 18 luglio plotoni della 73° compagnia
del battaglione Verona combatterono contro nuclei nemici e ampliarono
l'occupazione dell'Altissimo. Mediante queste lotte nell'autunno la
linea di contatto con il nemico raggiungeva la sponda meridionale del
lago di Loppio e interessava i lati meridionali dei Comuni di Mori e
di Loppio.
Gli
alpini, nei primi mesi di guerra erano rimasti stupiti
nell'incontrare la scarsa opposizione austriaca alla loro presenza
sul massiccio del Baldo; poi si resero conto che il nemico, secondo
un suo piano difensivo, aveva abbandonato delle località ritenute
militarmente scarsamente difensive e si erano ritirati al di là del
lago di Loppio per formare un'unica linea fortificata che partendo
dalla sponda lacustre del Garda e includente il villaggio di Torbole
e la piazzaforte di Riva risaliva sui monti Brione, Biaena e arrivava
all'Adige; dai monti le artiglierie dominavano i territori
sottostanti di Mori, Val Loppio, Val Lagarina fino ad Ala. I comandi
austriaci erano già consapevoli nel 1914 della debolezza del loro
esercito impegnato su tre fronti se l'Italia avesse dichiarato guerra
e decisero quindi di accorciare la linea di difesa posta
formidabilmente sull'orografia dei monti citati. Nei dieci mesi di
neutralità italo-austriaca i futuri nemici avevano costruito una
linea militare solida e appoggiata ad oriente ai forti e a occidente
alla zona fortificata di Riva, difendibile con poche truppe
distribuite sapientemente nelle opere fortificate. La scelta di
questa linea difensiva era stata acquisita dall'esperienza e dalla
scienza di guerra dei comandi austro-ungarici. L'esercito imperiale
aveva abili e preparati ufficiali, ben selezionati nelle accademie
militari, esperti nel creare e mantenere teste di ponte, come
sull'Isonzo e cunei di territori che flettevano la continuità dello
schieramento avversario provovandogli dei veri vulnus operativi. Era
questo il tipico caso che si riscontrava sulle pendici settentrionali
dell'Altissimo dove gli austriaci difendevano e controllavano le
località di Malga Zurez e Doss di Nago.
Malga
Zurez è una conca arida e desolata sottostante quota 700, mentre
Doss di Nago, quasi in linea ad oriente è a quota 704. Negli anni
antecedenti il conflitto nella malga vi era una misera capanna
rifugio di mandriani, poi i rapporti diplomatici tra Roma e Vienna,
non sempre cortesi e sorridenti, consigliarono gli imperiali a
rinforzare il sistema di trincee che sin dal 1866 scendevano dalla
quota 700 a quota 176 in difesa di Torbole, nel caso che il regno
d'Italia avesse pensato, via riva lacustre, di impossessarsi di
quell'obiettivo militare. Si rinforzò l'antica baita mandriana,
trasformandola in cassematte capaci di ospitare un numero
considerevole di soldati, e tutta intorno la malga vennero disposti
più ordini di difese passive. Le nostre truppe a Dosso Casina (quota
978) e Dosso Remit (quota 1123) erano disposte vigili su Malga Zurez
e sui collegamenti tra questa località e il villaggio sottostante di
Nago, presieduto da grossi e importanti reparti militari imperiali e
da depositi di viveri e munizioni. Da Nago lungo l'unica mulattiera,
i comandi di Nago tenevano i collegamenti con i soldati di Malga
Zurez.
La
presenza nemica in questa conca poteva rappresentare una base di
partenza per la riconquista della cima dell'Altissimo, ma era anche
una spina nel fianco dello schieramento italiano in caso d'avanzata.
L'operazione di dare maggior respiro alle nostre forze alpine
dell'Altissimo per meglio allinearsi con le fanterie italiane che
nella Vallarsa avevano raggiunto il Ponte di San Colombano a due
chilometri da Rovereto e nella Val Lagarina che avevano raggiunto il
paese di Crosano. A volere un attacco contro Malga Zurez era il
generale Andrea Graziani capo di Stato Maggiore della 1° Armata che
da Verona, sede del comando d'Armata, era andato al comando
Nelle
prime ore del 24 maggio 1915 il preordinato segnale d'avvio delle
operazioni di guerra squillò. Un lungo segnale di tromba fece
muovere le truppe del 6° reggimento Alpini che ammassate e
affardellate al di qua della frontiera italo-austriaca attendevano
l'inizio della guerra guerreggiata contro l'Austria. Superata la
linea ideale di confine a Passo Campione e divelti i cippi confinari,
tre compagnie del battaglione Verona e reparti di fanteria che erano
schierati sul massiccio del Baldo, s'avviarono all'interno del
territorio nemico in direzione della vetta del monte Altissimo. I
soldati avanzarono con cautela temendo insidie, che non c'erano,
perché gli austriaci si erano ritirati lasciando nel territorio
abbandonato solo qualche pattuglia di Stanschutzen. Gli alpini
raggiunsero in poche ore la cima dell'Altissimo. Per le compagnie del
battaglione Verona sembrò più una camminata turistica (termine
quest'ultimo allora non in voga) che una avanzata. Catturarono sette
soldati territoriali e due borghesi e li spedirono immantinentemente
a Verona. Il bollettino del Comando supremo diffuse il 27 maggio la
conquista che aveva fatto salire alle stelle l'euforia dei veronesi:
“ Nel Trentino fu occupato anche il Monte Altissimo di Monte Baldo
dove il nemico, costretto a ritirarsi, lasciò nelle nostre mani
ricoveri e materiale”.
Con il
giungere dei prigionieri in città si rafforzò la voce della
conquista dell'Altissimo e il giornale Arena diede subito
amplificazione agli eventi pubblicando in edizione straordinaria nel
pomeriggio del 28.5.1915 sulla conquista militare e sui prigionieri:
“ Parlavano perfettamente l'italiano ed esprimevano la loro
contentezza di non appartenere più alla tirannica monarchia degli
Asburgo”.
La
conquista della vetta montebaldina e delle località Corna Piana,
Postemone e monte Vignola diventava, per il momento la prima linea
italiana e allontanava la minaccia che poteva gravitare sulla nostra
provincia in caso d'attacco austriaco. Benchè le truppe italiane
della 1° Armata avessero come compiti assegnati dal Comando supremo
funzioni di rafforzamento delle difese dei territori conquistati,
l'iniziale mancata resistenza nemica, spingeva le nostre truppe a
proseguire l'avanzata. La 1° Armata che operava sui crinali delle
giudicarie e dei Lessini, aveva ai due dipendenti Corpi d'Armata il
XXIX e il V lasciato il compito di proseguire l'avanzata.
Il V
C.d'A aveva giurisdizione militare del settore Baldo-Lessini che
partiva dalla sponda orientale del Lago di Garda, risaliva il Monte
Baldo e superato l'acrocoro scendeva nella Val d'Adige per risalire
nuovamente i contrafforti dello Zugna. Il V C.d'A aveva suddiviso il
tratto di fronte ad esso pertinente in due settori: “Settore
sinistra Adige” e “Settore destra Adige”. Poiché nel caso
specifico tratteremo degli scontri armati avvenuti a Malga Zurez,
esamineremo solo il settore destra Adige che è il territorio
pertinente a quanto si scrive. Gli alpini del battaglione Verona,
fiancheggiati ora da compagnie del battaglione Val d'Adige scoprirono
meravigliati le formidabili opere militari incompiute fatte dagli
austriaci sull'Altissimo. Secondo i piani varati dagli austriaci
negli anni antecedenti la guerra austro-serba, una serie di forti
doveva essere completato sulla Vallarsa, la Valdadige, l'Altissimo.
Vienna avvertiva che in caso di guerra europea “l'amicizia” con
l'Italia si sarebbe decisamente guastata e per fermare al confini
l'esercito del re Vittorio e difendere la piazzaforte di Trento
occorreva completare la formidabile cintura di forti che dagli
altipiani di Vezzena, Lavarone e Folgaria avrebbe dovuto proseguire
verso Ovest fino all'Altissimo. Gli alpini guardavano stupiti ed
ammirati l'incompiuta opera militare che scavata nella roccia a quota
2079 avrebbe ospitato truppe imperiali nelle caserme dotate di
servizi, di gallerie e teleferiche. La sosta relativamente tranquilla
sui dossi, sui tratti prativi, nei boschi durò poco, anche perché i
comandi diedero l'avvio alla costruzione di una ragnatela di strade e
sentieri. Militarmente nell'estate si ebbero piccoli scontri e
piccoli avanzamenti, poi il 18 luglio plotoni della 73° compagnia
del battaglione Verona combatterono contro nuclei nemici e ampliarono
l'occupazione dell'Altissimo. Mediante queste lotte nell'autunno la
linea di contatto con il nemico raggiungeva la sponda meridionale del
lago di Loppio e interessava i lati meridionali dei Comuni di Mori e
di Loppio.
Gli
alpini, nei primi mesi di guerra erano rimasti stupiti
nell'incontrare la scarsa opposizione austriaca alla loro presenza
sul massiccio del Baldo; poi si resero conto che il nemico, secondo
un suo piano difensivo, aveva abbandonato delle località ritenute
militarmente scarsamente difensive e si erano ritirati al di là del
lago di Loppio per formare un'unica linea fortificata che partendo
dalla sponda lacustre del Garda e includente il villaggio di Torbole
e la piazzaforte di Riva risaliva sui monti Brione, Biaena e arrivava
all'Adige; dai monti le artiglierie dominavano i territori
sottostanti di Mori, Val Loppio, Val Lagarina fino ad Ala. I comandi
austriaci erano già consapevoli nel 1914 della debolezza del loro
esercito impegnato su tre fronti se l'Italia avesse dichiarato guerra
e decisero quindi di accorciare la linea di difesa posta
formidabilmente sull'orografia dei monti citati. Nei dieci mesi di
neutralità italo-austriaca i futuri nemici avevano costruito una
linea militare solida e appoggiata ad oriente ai forti e a occidente
alla zona fortificata di Riva, difendibile con poche truppe
distribuite sapientemente nelle opere fortificate. La scelta di
questa linea difensiva era stata acquisita dall'esperienza e dalla
scienza di guerra dei comandi austro-ungarici. L'esercito imperiale
aveva abili e preparati ufficiali, ben selezionati nelle accademie
militari, esperti nel creare e mantenere teste di ponte, come
sull'Isonzo e cunei di territori che flettevano la continuità dello
schieramento avversario provovandogli dei veri vulnus operativi. Era
questo il tipico caso che si riscontrava sulle pendici settentrionali
dell'Altissimo dove gli austriaci difendevano e controllavano le
località di Malga Zurez e Doss di Nago.
Malga
Zurez è una conca arida e desolata sottostante quota 700, mentre
Doss di Nago, quasi in linea ad oriente è a quota 704. Negli anni
antecedenti il conflitto nella malga vi era una misera capanna
rifugio di mandriani, poi i rapporti diplomatici tra Roma e Vienna,
non sempre cortesi e sorridenti, consigliarono gli imperiali a
rinforzare il sistema di trincee che sin dal 1866 scendevano dalla
quota 700 a quota 176 in difesa di Torbole, nel caso che il regno
d'Italia avesse pensato, via riva lacustre, di impossessarsi di
quell'obiettivo militare. Si rinforzò l'antica baita mandriana,
trasformandola in cassematte capaci di ospitare un numero
considerevole di soldati, e tutta intorno la malga vennero disposti
più ordini di difese passive. Le nostre truppe a Dosso Casina (quota
978) e Dosso Remit (quota 1123) erano disposte vigili su Malga Zurez
e sui collegamenti tra questa località e il villaggio sottostante di
Nago, presieduto da grossi e importanti reparti militari imperiali e
da depositi di viveri e munizioni. Da Nago lungo l'unica mulattiera,
i comandi di Nago tenevano i collegamenti con i soldati di Malga
Zurez.
La
presenza nemica in questa conca poteva rappresentare una base di
partenza per la riconquista della cima dell'Altissimo, ma era anche
una spina nel fianco dello schieramento italiano in caso d'avanzata.
L'operazione di dare maggior respiro alle nostre forze alpine
dell'Altissimo per meglio allinearsi con le fanterie italiane che
nella Vallarsa avevano raggiunto il Ponte di San Colombano a due
chilometri da Rovereto e nella Val Lagarina che avevano raggiunto il
paese di Crosano. A volere un attacco contro Malga Zurez era il
generale Andrea Graziani capo di Stato Maggiore della 1° Armata che
da Verona, sede del comando d'Armata, era andato al comando alpino di
Brentonico per disporre di persona l'ordine d'attacco. Il colonnello
degli alpini Bassino cercò di esporre al generale che la conquista
della conca alpestre, se favorevole alle nostre armi, avrebbe
scatenato la reazione dell'artiglieria austriaca che dal Creino, dal
Biaena, dal Brione, con i parametri di tiro già collaudati,
avrebbero potuto spazzare la zona rendendola un inferno. Il generale
Andrea Graziani, che il corso della guerra, ci farà conoscere quanto
nulla interessasse la vita dei soldati, ordinò la conquista della
malga. L'ordine alle compagnie alpine fu portato dal colonnello
Bassino in persona il 29 dicembre sera e nella notte del 30 le
operazioni d'attacco dovettero iniziare. Del 6° reggimento si
mossero da quote diverse le quattro compagnie del battaglione
Verona, 56-57-73-92, ridotte di effettivi perché parte della forza
era stata dislocata sullo Zugna, e le compagnie 256-257-258 del
battaglione Val d'Adige.
Alle due
di notte alcuni plotoni della 58°, nel massimo silenzio e nella
profonda oscurità notturna iniziarono il taglio dei reticolati. Il
filo spinato disposto in più ordini successivi, venne audacemente
tagliato e si riuscì ad aprire qualche varco. Le attente sentinelle
austriache, già messe sul chi va là, iniziarono a sparare. La
parziale sorpresa, e il garibaldinismo dell'azione italiana, riuscì
in parte a conquistare Malga Zugna benché gli austriaci, per dannata
loro fortuna, quella notte, per il cambio di presidio, era il doppio
d'uomini del normale contingente di Standschutzen. Il valore degli
italiani era uguale all'eroismo degli avversari; si lottò con le
armi da fuoco, ma pure con le baionette, con i sassi, con lotta
mortale uomo contro uomo. Al mattino buona parte della malga era in
mano italiana, poi un ordine del comandante del settore generale
Raffa stabilì che parte dell'azione si spostasse a Dosso Alto.
Tuttavia i combattimenti nella conca della Malga Zurez non
accennarono a diminuire; attacchi e contrattacchi seminarono vuoti
tra i gloriosi soldati dei due opposti schieramenti. Sul far delle
prime ore del pomeriggio gli alpini non sorretti da ricalzi
avvertirono la penuria di munizioni, mentre gli austriaci erano
continuamente alimentati da uonini freschi e da abbondanza di
proiettili. In quei minuti cruciali in cui gli alpini avrebbero
potuto cogliere l'attimo fuggente e ritirarsi, l'artiglieria
austriaca, con decine e decine di bocche da fuoco di ogni calibro,
dalle loro antistanti posizioni iniziarono un bombardamento
tambureggiante che formò una cortina di acciaio e fuoco alle spalle
degli alpini impedendo loro ogni ritirata. Sotto quel tormento gli
italiani vi restarono fino a notte. Con il buio i superstiti poterono
mettersi in salvo raggiungendo le posizioni di partenza. La
battaglia di Malga Zurez, che durò dieci ore, con assalti e
contrassalti continui causò la morte di sette ufficiali e nove
feriti, 74 soldati morti e dispersi, 141 feriti e 24 prigionieri tra
le file italiane. Ventitrè i morti austriaci e 54 i feriti (tutti i
dati di morte e feriti non sono rigorosamente documentati). Nelle
compagnie italiane che combatterono a Malga Zurez vi furono 26
volontari trentini di cui cinque morirono: Mario Angheben, Arturo De
Benedetti, Remo Galvagni, Guido Volo, Cesare Tognolo. Il bollettino
del Comando Supremo del 1° gennaio 1916 riduceva il sanguinoso
combattimento di Malga Zurez in poche parole: “In Valle Lagarina
una nostra ardita ricognizione su Malga Zurez, a Nord di Dosso Casina
frutto la cattura di alcuni prigionieri”
alpino di
Brentonico per disporre di persona l'ordine d'attacco. Il colonnello
degli alpini Bassino cercò di esporre al generale che la conquista
della conca alpestre, se favorevole alle nostre armi, avrebbe
scatenato la reazione dell'artiglieria austriaca che dal Creino, dal
Biaena, dal Brione, con i parametri di tiro già collaudati,
avrebbero potuto spazzare la zona rendendola un inferno. Il generale
Andrea Graziani, che il corso della guerra, ci farà conoscere quanto
nulla interessasse la vita dei soldati, ordinò la conquista della
malga. L'ordine alle compagnie alpine fu portato dal colonnello
Bassino in persona il 29 dicembre sera e nella notte del 30 le
operazioni d'attacco dovettero iniziare. Del 6° reggimento si
mossero da quote diverse le quattro compagnie del battaglione
Verona, 56-57-73-92, ridotte di effettivi perché parte della forza
era stata dislocata sullo Zugna, e le compagnie 256-257-258 del
battaglione Val d'Adige.
Alle due
di notte alcuni plotoni della 58°, nel massimo silenzio e nella
profonda oscurità notturna iniziarono il taglio dei reticolati. Il
filo spinato disposto in più ordini successivi, venne audacemente
tagliato e si riuscì ad aprire qualche varco. Le attente sentinelle
austriache, già messe sul chi va là, iniziarono a sparare. La
parziale sorpresa, e il garibaldinismo dell'azione italiana, riuscì
in parte a conquistare Malga Zugna benché gli austriaci, per dannata
loro fortuna, quella notte, per il cambio di presidio, era il doppio
d'uomini del normale contingente di Standschutzen. Il valore degli
italiani era uguale all'eroismo degli avversari; si lottò con le
armi da fuoco, ma pure con le baionette, con i sassi, con lotta
mortale uomo contro uomo. Al mattino buona parte della malga era in
mano italiana, poi un ordine del comandante del settore generale
Raffa stabilì che parte dell'azione si spostasse a Dosso Alto.
Tuttavia i combattimenti nella conca della Malga Zurez non
accennarono a diminuire; attacchi e contrattacchi seminarono vuoti
tra i gloriosi soldati dei due opposti schieramenti. Sul far delle
prime ore del pomeriggio gli alpini non sorretti da ricalzi
avvertirono la penuria di munizioni, mentre gli austriaci erano
continuamente alimentati da uonini freschi e da abbondanza di
proiettili. In quei minuti cruciali in cui gli alpini avrebbero
potuto cogliere l'attimo fuggente e ritirarsi, l'artiglieria
austriaca, con decine e decine di bocche da fuoco di ogni calibro,
dalle loro antistanti posizioni iniziarono un bombardamento
tambureggiante che formò una cortina di acciaio e fuoco alle spalle
degli alpini impedendo loro ogni ritirata. Sotto quel tormento gli
italiani vi restarono fino a notte. Con il buio i superstiti poterono
mettersi in salvo raggiungendo le posizioni di partenza. La
battaglia di Malga Zurez, che durò dieci ore, con assalti e
contrassalti continui causò la morte di sette ufficiali e nove
feriti, 74 soldati morti e dispersi, 141 feriti e 24 prigionieri tra
le file italiane. Ventitrè i morti austriaci e 54 i feriti (tutti i
dati di morte e feriti non sono rigorosamente documentati). Nelle
compagnie italiane che combatterono a Malga Zurez vi furono 26
volontari trentini di cui cinque morirono: Mario Angheben, Arturo De
Benedetti, Remo Galvagni, Guido Volo, Cesare Tognolo. Il bollettino
del Comando Supremo del 1° gennaio 1916 riduceva il sanguinoso
combattimento di Malga Zurez in poche parole: “In Valle Lagarina
una nostra ardita ricognizione su Malga Zurez, a Nord di Dosso Casina
frutto la cattura di alcuni prigionieri”
Bella ed interessante pubblicazione..
RispondiEliminaAvrei bisogno di mettermi in contatto con lei in merito a questa ricerca. Sartori Giorgio Sez. ANA di Verona email: sartorigiorgio@alice.it , la ringrazio.
cordiali saluti.
Giorgio