venerdì 8 febbraio 2013

Battaglia Malga Zurez e Dosso Alto del monte Altissimo 30.12.1915. Morti e feriti.



Nelle prime ore del 24 maggio 1915 il preordinato segnale d'avvio delle operazioni di guerra squillò. Un lungo segnale di tromba fece muovere le truppe del 6° reggimento Alpini che ammassate e affardellate al di qua della frontiera italo-austriaca attendevano l'inizio della guerra guerreggiata contro l'Austria. Superata la linea ideale di confine a Passo Campione e divelti i cippi confinari, tre compagnie del battaglione Verona e reparti di fanteria che erano schierati sul massiccio del Baldo, s'avviarono all'interno del territorio nemico in direzione della vetta del monte Altissimo. I soldati avanzarono con cautela temendo insidie, che non c'erano, perché gli austriaci si erano ritirati lasciando nel territorio abbandonato solo qualche pattuglia di Stanschutzen. Gli alpini raggiunsero in poche ore la cima dell'Altissimo. Per le compagnie del battaglione Verona sembrò più una camminata turistica (termine quest'ultimo allora non in voga) che una avanzata. Catturarono sette soldati territoriali e due borghesi e li spedirono immantinentemente a Verona. Il bollettino del Comando supremo diffuse il 27 maggio la conquista che aveva fatto salire alle stelle l'euforia dei veronesi: “ Nel Trentino fu occupato anche il Monte Altissimo di Monte Baldo dove il nemico, costretto a ritirarsi, lasciò nelle nostre mani ricoveri e materiale”.
Con il giungere dei prigionieri in città si rafforzò la voce della conquista dell'Altissimo e il giornale Arena diede subito amplificazione agli eventi pubblicando in edizione straordinaria nel pomeriggio del 28.5.1915 sulla conquista militare e sui prigionieri: “ Parlavano perfettamente l'italiano ed esprimevano la loro contentezza di non appartenere più alla tirannica monarchia degli Asburgo”.
La conquista della vetta montebaldina e delle località Corna Piana, Postemone e monte Vignola diventava, per il momento la prima linea italiana e allontanava la minaccia che poteva gravitare sulla nostra provincia in caso d'attacco austriaco. Benchè le truppe italiane della 1° Armata avessero come compiti assegnati dal Comando supremo funzioni di rafforzamento delle difese dei territori conquistati, l'iniziale mancata resistenza nemica, spingeva le nostre truppe a proseguire l'avanzata. La 1° Armata che operava sui crinali delle giudicarie e dei Lessini, aveva ai due dipendenti Corpi d'Armata il XXIX e il V lasciato il compito di proseguire l'avanzata.
Il V C.d'A aveva giurisdizione militare del settore Baldo-Lessini che partiva dalla sponda orientale del Lago di Garda, risaliva il Monte Baldo e superato l'acrocoro scendeva nella Val d'Adige per risalire nuovamente i contrafforti dello Zugna. Il V C.d'A aveva suddiviso il tratto di fronte ad esso pertinente in due settori: “Settore sinistra Adige” e “Settore destra Adige”. Poiché nel caso specifico tratteremo degli scontri armati avvenuti a Malga Zurez, esamineremo solo il settore destra Adige che è il territorio pertinente a quanto si scrive. Gli alpini del battaglione Verona, fiancheggiati ora da compagnie del battaglione Val d'Adige scoprirono meravigliati le formidabili opere militari incompiute fatte dagli austriaci sull'Altissimo. Secondo i piani varati dagli austriaci negli anni antecedenti la guerra austro-serba, una serie di forti doveva essere completato sulla Vallarsa, la Valdadige, l'Altissimo. Vienna avvertiva che in caso di guerra europea “l'amicizia” con l'Italia si sarebbe decisamente guastata e per fermare al confini l'esercito del re Vittorio e difendere la piazzaforte di Trento occorreva completare la formidabile cintura di forti che dagli altipiani di Vezzena, Lavarone e Folgaria avrebbe dovuto proseguire verso Ovest fino all'Altissimo. Gli alpini guardavano stupiti ed ammirati l'incompiuta opera militare che scavata nella roccia a quota 2079 avrebbe ospitato truppe imperiali nelle caserme dotate di servizi, di gallerie e teleferiche. La sosta relativamente tranquilla sui dossi, sui tratti prativi, nei boschi durò poco, anche perché i comandi diedero l'avvio alla costruzione di una ragnatela di strade e sentieri. Militarmente nell'estate si ebbero piccoli scontri e piccoli avanzamenti, poi il 18 luglio plotoni della 73° compagnia del battaglione Verona combatterono contro nuclei nemici e ampliarono l'occupazione dell'Altissimo. Mediante queste lotte nell'autunno la linea di contatto con il nemico raggiungeva la sponda meridionale del lago di Loppio e interessava i lati meridionali dei Comuni di Mori e di Loppio.
Gli alpini, nei primi mesi di guerra erano rimasti stupiti nell'incontrare la scarsa opposizione austriaca alla loro presenza sul massiccio del Baldo; poi si resero conto che il nemico, secondo un suo piano difensivo, aveva abbandonato delle località ritenute militarmente scarsamente difensive e si erano ritirati al di là del lago di Loppio per formare un'unica linea fortificata che partendo dalla sponda lacustre del Garda e includente il villaggio di Torbole e la piazzaforte di Riva risaliva sui monti Brione, Biaena e arrivava all'Adige; dai monti le artiglierie dominavano i territori sottostanti di Mori, Val Loppio, Val Lagarina fino ad Ala. I comandi austriaci erano già consapevoli nel 1914 della debolezza del loro esercito impegnato su tre fronti se l'Italia avesse dichiarato guerra e decisero quindi di accorciare la linea di difesa posta formidabilmente sull'orografia dei monti citati. Nei dieci mesi di neutralità italo-austriaca i futuri nemici avevano costruito una linea militare solida e appoggiata ad oriente ai forti e a occidente alla zona fortificata di Riva, difendibile con poche truppe distribuite sapientemente nelle opere fortificate. La scelta di questa linea difensiva era stata acquisita dall'esperienza e dalla scienza di guerra dei comandi austro-ungarici. L'esercito imperiale aveva abili e preparati ufficiali, ben selezionati nelle accademie militari, esperti nel creare e mantenere teste di ponte, come sull'Isonzo e cunei di territori che flettevano la continuità dello schieramento avversario provovandogli dei veri vulnus operativi. Era questo il tipico caso che si riscontrava sulle pendici settentrionali dell'Altissimo dove gli austriaci difendevano e controllavano le località di Malga Zurez e Doss di Nago.
Malga Zurez è una conca arida e desolata sottostante quota 700, mentre Doss di Nago, quasi in linea ad oriente è a quota 704. Negli anni antecedenti il conflitto nella malga vi era una misera capanna rifugio di mandriani, poi i rapporti diplomatici tra Roma e Vienna, non sempre cortesi e sorridenti, consigliarono gli imperiali a rinforzare il sistema di trincee che sin dal 1866 scendevano dalla quota 700 a quota 176 in difesa di Torbole, nel caso che il regno d'Italia avesse pensato, via riva lacustre, di impossessarsi di quell'obiettivo militare. Si rinforzò l'antica baita mandriana, trasformandola in cassematte capaci di ospitare un numero considerevole di soldati, e tutta intorno la malga vennero disposti più ordini di difese passive. Le nostre truppe a Dosso Casina (quota 978) e Dosso Remit (quota 1123) erano disposte vigili su Malga Zurez e sui collegamenti tra questa località e il villaggio sottostante di Nago, presieduto da grossi e importanti reparti militari imperiali e da depositi di viveri e munizioni. Da Nago lungo l'unica mulattiera, i comandi di Nago tenevano i collegamenti con i soldati di Malga Zurez.
La presenza nemica in questa conca poteva rappresentare una base di partenza per la riconquista della cima dell'Altissimo, ma era anche una spina nel fianco dello schieramento italiano in caso d'avanzata. L'operazione di dare maggior respiro alle nostre forze alpine dell'Altissimo per meglio allinearsi con le fanterie italiane che nella Vallarsa avevano raggiunto il Ponte di San Colombano a due chilometri da Rovereto e nella Val Lagarina che avevano raggiunto il paese di Crosano. A volere un attacco contro Malga Zurez era il generale Andrea Graziani capo di Stato Maggiore della 1° Armata che da Verona, sede del comando d'Armata, era andato al comando


Nelle prime ore del 24 maggio 1915 il preordinato segnale d'avvio delle operazioni di guerra squillò. Un lungo segnale di tromba fece muovere le truppe del 6° reggimento Alpini che ammassate e affardellate al di qua della frontiera italo-austriaca attendevano l'inizio della guerra guerreggiata contro l'Austria. Superata la linea ideale di confine a Passo Campione e divelti i cippi confinari, tre compagnie del battaglione Verona e reparti di fanteria che erano schierati sul massiccio del Baldo, s'avviarono all'interno del territorio nemico in direzione della vetta del monte Altissimo. I soldati avanzarono con cautela temendo insidie, che non c'erano, perché gli austriaci si erano ritirati lasciando nel territorio abbandonato solo qualche pattuglia di Stanschutzen. Gli alpini raggiunsero in poche ore la cima dell'Altissimo. Per le compagnie del battaglione Verona sembrò più una camminata turistica (termine quest'ultimo allora non in voga) che una avanzata. Catturarono sette soldati territoriali e due borghesi e li spedirono immantinentemente a Verona. Il bollettino del Comando supremo diffuse il 27 maggio la conquista che aveva fatto salire alle stelle l'euforia dei veronesi: “ Nel Trentino fu occupato anche il Monte Altissimo di Monte Baldo dove il nemico, costretto a ritirarsi, lasciò nelle nostre mani ricoveri e materiale”.
Con il giungere dei prigionieri in città si rafforzò la voce della conquista dell'Altissimo e il giornale Arena diede subito amplificazione agli eventi pubblicando in edizione straordinaria nel pomeriggio del 28.5.1915 sulla conquista militare e sui prigionieri: “ Parlavano perfettamente l'italiano ed esprimevano la loro contentezza di non appartenere più alla tirannica monarchia degli Asburgo”.
La conquista della vetta montebaldina e delle località Corna Piana, Postemone e monte Vignola diventava, per il momento la prima linea italiana e allontanava la minaccia che poteva gravitare sulla nostra provincia in caso d'attacco austriaco. Benchè le truppe italiane della 1° Armata avessero come compiti assegnati dal Comando supremo funzioni di rafforzamento delle difese dei territori conquistati, l'iniziale mancata resistenza nemica, spingeva le nostre truppe a proseguire l'avanzata. La 1° Armata che operava sui crinali delle giudicarie e dei Lessini, aveva ai due dipendenti Corpi d'Armata il XXIX e il V lasciato il compito di proseguire l'avanzata.
Il V C.d'A aveva giurisdizione militare del settore Baldo-Lessini che partiva dalla sponda orientale del Lago di Garda, risaliva il Monte Baldo e superato l'acrocoro scendeva nella Val d'Adige per risalire nuovamente i contrafforti dello Zugna. Il V C.d'A aveva suddiviso il tratto di fronte ad esso pertinente in due settori: “Settore sinistra Adige” e “Settore destra Adige”. Poiché nel caso specifico tratteremo degli scontri armati avvenuti a Malga Zurez, esamineremo solo il settore destra Adige che è il territorio pertinente a quanto si scrive. Gli alpini del battaglione Verona, fiancheggiati ora da compagnie del battaglione Val d'Adige scoprirono meravigliati le formidabili opere militari incompiute fatte dagli austriaci sull'Altissimo. Secondo i piani varati dagli austriaci negli anni antecedenti la guerra austro-serba, una serie di forti doveva essere completato sulla Vallarsa, la Valdadige, l'Altissimo. Vienna avvertiva che in caso di guerra europea “l'amicizia” con l'Italia si sarebbe decisamente guastata e per fermare al confini l'esercito del re Vittorio e difendere la piazzaforte di Trento occorreva completare la formidabile cintura di forti che dagli altipiani di Vezzena, Lavarone e Folgaria avrebbe dovuto proseguire verso Ovest fino all'Altissimo. Gli alpini guardavano stupiti ed ammirati l'incompiuta opera militare che scavata nella roccia a quota 2079 avrebbe ospitato truppe imperiali nelle caserme dotate di servizi, di gallerie e teleferiche. La sosta relativamente tranquilla sui dossi, sui tratti prativi, nei boschi durò poco, anche perché i comandi diedero l'avvio alla costruzione di una ragnatela di strade e sentieri. Militarmente nell'estate si ebbero piccoli scontri e piccoli avanzamenti, poi il 18 luglio plotoni della 73° compagnia del battaglione Verona combatterono contro nuclei nemici e ampliarono l'occupazione dell'Altissimo. Mediante queste lotte nell'autunno la linea di contatto con il nemico raggiungeva la sponda meridionale del lago di Loppio e interessava i lati meridionali dei Comuni di Mori e di Loppio.
Gli alpini, nei primi mesi di guerra erano rimasti stupiti nell'incontrare la scarsa opposizione austriaca alla loro presenza sul massiccio del Baldo; poi si resero conto che il nemico, secondo un suo piano difensivo, aveva abbandonato delle località ritenute militarmente scarsamente difensive e si erano ritirati al di là del lago di Loppio per formare un'unica linea fortificata che partendo dalla sponda lacustre del Garda e includente il villaggio di Torbole e la piazzaforte di Riva risaliva sui monti Brione, Biaena e arrivava all'Adige; dai monti le artiglierie dominavano i territori sottostanti di Mori, Val Loppio, Val Lagarina fino ad Ala. I comandi austriaci erano già consapevoli nel 1914 della debolezza del loro esercito impegnato su tre fronti se l'Italia avesse dichiarato guerra e decisero quindi di accorciare la linea di difesa posta formidabilmente sull'orografia dei monti citati. Nei dieci mesi di neutralità italo-austriaca i futuri nemici avevano costruito una linea militare solida e appoggiata ad oriente ai forti e a occidente alla zona fortificata di Riva, difendibile con poche truppe distribuite sapientemente nelle opere fortificate. La scelta di questa linea difensiva era stata acquisita dall'esperienza e dalla scienza di guerra dei comandi austro-ungarici. L'esercito imperiale aveva abili e preparati ufficiali, ben selezionati nelle accademie militari, esperti nel creare e mantenere teste di ponte, come sull'Isonzo e cunei di territori che flettevano la continuità dello schieramento avversario provovandogli dei veri vulnus operativi. Era questo il tipico caso che si riscontrava sulle pendici settentrionali dell'Altissimo dove gli austriaci difendevano e controllavano le località di Malga Zurez e Doss di Nago.
Malga Zurez è una conca arida e desolata sottostante quota 700, mentre Doss di Nago, quasi in linea ad oriente è a quota 704. Negli anni antecedenti il conflitto nella malga vi era una misera capanna rifugio di mandriani, poi i rapporti diplomatici tra Roma e Vienna, non sempre cortesi e sorridenti, consigliarono gli imperiali a rinforzare il sistema di trincee che sin dal 1866 scendevano dalla quota 700 a quota 176 in difesa di Torbole, nel caso che il regno d'Italia avesse pensato, via riva lacustre, di impossessarsi di quell'obiettivo militare. Si rinforzò l'antica baita mandriana, trasformandola in cassematte capaci di ospitare un numero considerevole di soldati, e tutta intorno la malga vennero disposti più ordini di difese passive. Le nostre truppe a Dosso Casina (quota 978) e Dosso Remit (quota 1123) erano disposte vigili su Malga Zurez e sui collegamenti tra questa località e il villaggio sottostante di Nago, presieduto da grossi e importanti reparti militari imperiali e da depositi di viveri e munizioni. Da Nago lungo l'unica mulattiera, i comandi di Nago tenevano i collegamenti con i soldati di Malga Zurez.
La presenza nemica in questa conca poteva rappresentare una base di partenza per la riconquista della cima dell'Altissimo, ma era anche una spina nel fianco dello schieramento italiano in caso d'avanzata. L'operazione di dare maggior respiro alle nostre forze alpine dell'Altissimo per meglio allinearsi con le fanterie italiane che nella Vallarsa avevano raggiunto il Ponte di San Colombano a due chilometri da Rovereto e nella Val Lagarina che avevano raggiunto il paese di Crosano. A volere un attacco contro Malga Zurez era il generale Andrea Graziani capo di Stato Maggiore della 1° Armata che da Verona, sede del comando d'Armata, era andato al comando alpino di Brentonico per disporre di persona l'ordine d'attacco. Il colonnello degli alpini Bassino cercò di esporre al generale che la conquista della conca alpestre, se favorevole alle nostre armi, avrebbe scatenato la reazione dell'artiglieria austriaca che dal Creino, dal Biaena, dal Brione, con i parametri di tiro già collaudati, avrebbero potuto spazzare la zona rendendola un inferno. Il generale Andrea Graziani, che il corso della guerra, ci farà conoscere quanto nulla interessasse la vita dei soldati, ordinò la conquista della malga. L'ordine alle compagnie alpine fu portato dal colonnello Bassino in persona il 29 dicembre sera e nella notte del 30 le operazioni d'attacco dovettero iniziare. Del 6° reggimento si mossero da quote diverse le quattro compagnie del battaglione Verona, 56-57-73-92, ridotte di effettivi perché parte della forza era stata dislocata sullo Zugna, e le compagnie 256-257-258 del battaglione Val d'Adige.
Alle due di notte alcuni plotoni della 58°, nel massimo silenzio e nella profonda oscurità notturna iniziarono il taglio dei reticolati. Il filo spinato disposto in più ordini successivi, venne audacemente tagliato e si riuscì ad aprire qualche varco. Le attente sentinelle austriache, già messe sul chi va là, iniziarono a sparare. La parziale sorpresa, e il garibaldinismo dell'azione italiana, riuscì in parte a conquistare Malga Zugna benché gli austriaci, per dannata loro fortuna, quella notte, per il cambio di presidio, era il doppio d'uomini del normale contingente di Standschutzen. Il valore degli italiani era uguale all'eroismo degli avversari; si lottò con le armi da fuoco, ma pure con le baionette, con i sassi, con lotta mortale uomo contro uomo. Al mattino buona parte della malga era in mano italiana, poi un ordine del comandante del settore generale Raffa stabilì che parte dell'azione si spostasse a Dosso Alto. Tuttavia i combattimenti nella conca della Malga Zurez non accennarono a diminuire; attacchi e contrattacchi seminarono vuoti tra i gloriosi soldati dei due opposti schieramenti. Sul far delle prime ore del pomeriggio gli alpini non sorretti da ricalzi avvertirono la penuria di munizioni, mentre gli austriaci erano continuamente alimentati da uonini freschi e da abbondanza di proiettili. In quei minuti cruciali in cui gli alpini avrebbero potuto cogliere l'attimo fuggente e ritirarsi, l'artiglieria austriaca, con decine e decine di bocche da fuoco di ogni calibro, dalle loro antistanti posizioni iniziarono un bombardamento tambureggiante che formò una cortina di acciaio e fuoco alle spalle degli alpini impedendo loro ogni ritirata. Sotto quel tormento gli italiani vi restarono fino a notte. Con il buio i superstiti poterono mettersi in salvo raggiungendo le posizioni di partenza. La battaglia di Malga Zurez, che durò dieci ore, con assalti e contrassalti continui causò la morte di sette ufficiali e nove feriti, 74 soldati morti e dispersi, 141 feriti e 24 prigionieri tra le file italiane. Ventitrè i morti austriaci e 54 i feriti (tutti i dati di morte e feriti non sono rigorosamente documentati). Nelle compagnie italiane che combatterono a Malga Zurez vi furono 26 volontari trentini di cui cinque morirono: Mario Angheben, Arturo De Benedetti, Remo Galvagni, Guido Volo, Cesare Tognolo. Il bollettino del Comando Supremo del 1° gennaio 1916 riduceva il sanguinoso combattimento di Malga Zurez in poche parole: “In Valle Lagarina una nostra ardita ricognizione su Malga Zurez, a Nord di Dosso Casina frutto la cattura di alcuni prigionieri”



alpino di Brentonico per disporre di persona l'ordine d'attacco. Il colonnello degli alpini Bassino cercò di esporre al generale che la conquista della conca alpestre, se favorevole alle nostre armi, avrebbe scatenato la reazione dell'artiglieria austriaca che dal Creino, dal Biaena, dal Brione, con i parametri di tiro già collaudati, avrebbero potuto spazzare la zona rendendola un inferno. Il generale Andrea Graziani, che il corso della guerra, ci farà conoscere quanto nulla interessasse la vita dei soldati, ordinò la conquista della malga. L'ordine alle compagnie alpine fu portato dal colonnello Bassino in persona il 29 dicembre sera e nella notte del 30 le operazioni d'attacco dovettero iniziare. Del 6° reggimento si mossero da quote diverse le quattro compagnie del battaglione Verona, 56-57-73-92, ridotte di effettivi perché parte della forza era stata dislocata sullo Zugna, e le compagnie 256-257-258 del battaglione Val d'Adige.
Alle due di notte alcuni plotoni della 58°, nel massimo silenzio e nella profonda oscurità notturna iniziarono il taglio dei reticolati. Il filo spinato disposto in più ordini successivi, venne audacemente tagliato e si riuscì ad aprire qualche varco. Le attente sentinelle austriache, già messe sul chi va là, iniziarono a sparare. La parziale sorpresa, e il garibaldinismo dell'azione italiana, riuscì in parte a conquistare Malga Zugna benché gli austriaci, per dannata loro fortuna, quella notte, per il cambio di presidio, era il doppio d'uomini del normale contingente di Standschutzen. Il valore degli italiani era uguale all'eroismo degli avversari; si lottò con le armi da fuoco, ma pure con le baionette, con i sassi, con lotta mortale uomo contro uomo. Al mattino buona parte della malga era in mano italiana, poi un ordine del comandante del settore generale Raffa stabilì che parte dell'azione si spostasse a Dosso Alto. Tuttavia i combattimenti nella conca della Malga Zurez non accennarono a diminuire; attacchi e contrattacchi seminarono vuoti tra i gloriosi soldati dei due opposti schieramenti. Sul far delle prime ore del pomeriggio gli alpini non sorretti da ricalzi avvertirono la penuria di munizioni, mentre gli austriaci erano continuamente alimentati da uonini freschi e da abbondanza di proiettili. In quei minuti cruciali in cui gli alpini avrebbero potuto cogliere l'attimo fuggente e ritirarsi, l'artiglieria austriaca, con decine e decine di bocche da fuoco di ogni calibro, dalle loro antistanti posizioni iniziarono un bombardamento tambureggiante che formò una cortina di acciaio e fuoco alle spalle degli alpini impedendo loro ogni ritirata. Sotto quel tormento gli italiani vi restarono fino a notte. Con il buio i superstiti poterono mettersi in salvo raggiungendo le posizioni di partenza. La battaglia di Malga Zurez, che durò dieci ore, con assalti e contrassalti continui causò la morte di sette ufficiali e nove feriti, 74 soldati morti e dispersi, 141 feriti e 24 prigionieri tra le file italiane. Ventitrè i morti austriaci e 54 i feriti (tutti i dati di morte e feriti non sono rigorosamente documentati). Nelle compagnie italiane che combatterono a Malga Zurez vi furono 26 volontari trentini di cui cinque morirono: Mario Angheben, Arturo De Benedetti, Remo Galvagni, Guido Volo, Cesare Tognolo. Il bollettino del Comando Supremo del 1° gennaio 1916 riduceva il sanguinoso combattimento di Malga Zurez in poche parole: “In Valle Lagarina una nostra ardita ricognizione su Malga Zurez, a Nord di Dosso Casina frutto la cattura di alcuni prigionieri”

1 commento:

  1. Bella ed interessante pubblicazione..
    Avrei bisogno di mettermi in contatto con lei in merito a questa ricerca. Sartori Giorgio Sez. ANA di Verona email: sartorigiorgio@alice.it , la ringrazio.
    cordiali saluti.
    Giorgio

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