Non c’è storico della
guerra italo austriaca del 1915-1918 che non dedichi spazio agli
ammutinamenti e alle rivolte armate che avvennero nell’esercito
italiano nel 1917. La più grave fu la rivolta della brigata
Catanzaro con la morte e ferimenti di soldati e ufficiali e quando
dopo una notte di spari la rivolta fu repressa, essa diede avvio a
ripetute fucilazioni dei rivoltosi. Il 1917 fu un anno difficile per
la stanchezza dell’esercito: la condanna della guerra da parte del
Papa e le parole di speranza dette in Parlamento: “Non più un
altro inverno in trincea” erano parole che avrebbero potuto
diventare spinte rivoluzionarie. Fu un anno carico di incognite il
1917 che lo sfondamento di Caporetto modificò radicalmente sul Piave
le condizioni dell’Isonzo. Alla luce di quei fatti e dall’esame
delle buste di processi contro soldati imputati di ammutinamenti e
rivolte si sa che pure nel territorio veronese ci fu, molti mesi
prima dell’esplosione di rivolta della brigata Catanzaro, un
ammutinamento di soldati con spari, distruzione di materiali da
casermaggio e urla contro la guerra. La documentazione che svela la
rivolta veronese si trova negli atti del processo del Tribunale
militare di guerra Intendenza 1° Armata che giudico 24 soldati
ritenuti responsabili degli episodi sedizioni. (1° nota. ASVr, TMVr,
Fascicolo personale 77/1917).
A Quinto di Valpantena,
in tre edifici, l’esercito aveva stabilito un Deposito di
convalescenza e Tappa, Reparto B, che raccoglieva i soldati dimessi
dagli ospedali dopo le cure ricevute per sanare le ferite subite o le
malattie contratte al fronte. Per distinguere bene gli edifici era
stato dato loro un nome convenzionale: Scuole, Mosconi, Casa Bertani.
Gli occupanti erano soldati del 4°,5°,6° reggimento alpini, con
prevalenza di questi ultimi. La truppa era accantonata nei tre
edifici mentre il comandante di questi uomini, il capitano di M.T. Di
Rienzo Enrico alloggiava in una stanza del Municipio distante dagli
accantonamenti 450 metri. Verso le ore 14, 14.30 del 13 novembre
giunse al comandante Di Rienzo l’ordine di predisporre la partenza
di 237 alpini che dovevano essere condotti alla stazione ferroviaria
di Porta Vescovo in Verona per proseguire in treno fino a Vicenza
dove poi sarebbero stati destinati come complementi a varie unità al
fronte. Incaricato a condurre la colonna in marcia verso Verona degli
alpini e cento fanti (accantonati questi a Poiano, sede del comando
di battaglione) fu un capitano della riserva del Deposito del 62°
reggimento fanteria. Egli giunse a Quinto sul far della sera del 13
novembre. L’ordine trasmessi al comandante del Deposito
Convalescenza e Tappa stabiliva che i reparti dovevano essere
equipaggiati e pronti per la marcia di trasferimento alle ore 23 del
13 novembre. Luogo di raduno la piazza del paese di Quinto distante
500 metri da Casa Bertani. Saputo l’ordine una forte tensione
nervosa pervase i soldati che dovevano partire, molti dei quali
temevano, perché sapevano, che la licenza invernale non sarebbe più
stata concessa. Tuttavia fino a sera tutto procedette regolarmente.
Il capitano Di Rienzo nel timore che qualche soldato ubriaco sfogasse
l’ira del suo stato d’animo, avrebbe voluto che le osterie del
paese fossero chiuse alle ore 20, il sindaco si oppose perché,
disse, ciò provocava malcontento nei soldati già depressi e fece
tenere aperte le osterie fino alle 22. Già qualche soldato era
ubriaco, quando intorno alle 20.30 si udì uno sparo. Il capitano di
Rienzo udì la detonazione, ma non si mosse dal suo alloggiamento. Si
seppe poi che il colpo di fucile era stato sparato dall’alpino
Tosi Bruno che si ferì volontariamente alla mano sinistra per non
partire. L’adunata nella piazza del Municipio era fissata per le
ore 21 , ma il drappello di Casa Bertani alle 22 non era ancora
giunto. Queste situazioni fecero aumentare la tensione ed essa sfociò
in aperto ammutinamento e rivolta quando dalla prigione dove erano
stati puniti di rigore per essersi allontanati arbitrariamente dal
reparto, uscirono due caporale Chini Luigi e Faccioli Vittorio e due
soldati Lonardi Guglielmo e Bertal Leone i quali si presentarono
esacerbati e decisi (ma il tribunale li definì arroganti e
indisciplinati)al sottufficiale di fureria per riscuotere il soldo e
prendere l’equipaggiamento. Il sergente di fureria seccato mandò
via i quattro dicendo loro che prima di partire avrebbero tutto
ricevuto. Verso le ore 21-21.30 si udirono i primi spari. Anche in
questo caso il Di Rienzo non si mosse ma inviò verso Casa Bertani
una pattuglia e poi un sottotenente per riferire poi cosa stava
accadendo. Gli spari ebbero un crescendo impressionante; essi erano
intercalati da grida di “abbasso la guerra, vogliamo la pace, siamo
stufi” e altre frasi di protesta. Da Casa Bertani furono esplosi
una quindicina di colpi. Gli ufficiali accorsero subito per accertare
i fatti, nel frattempo i soldati, dopo aver spento ogni lume e
favoriti dal fatto che la casa era suddivisa in piccoli ambienti
poterono sfuggire e raggiunto l’esterno ripresero a sparare in aria
numerosi colpi. All0interno della casa la protesta degli alpini non
era cessata: dalle finestre gettarono pagliericci, telai di finestre,
ruppero tutti i vetri. Vennero colti mentre sparavano e furono
ritenuti tra i maggiori responsabili i caporali Chini e Faccioli e i
soldati Negrello e Zordan. Chini e Faccioli salirono nella camerata
dove era loro proibito accedere perché non dovevano nulla prendere e
afferrati fucili di altri soldati spararono dalle finestre e
lanciarono grida. Il sottotenente comandante l’accantonamento di
Casa Bertani dichiarò durante il processo che quella notte a Casa
Bertani pareva di essere in trincea ma, precisò non alla quantità
del fuoco ma al molto lavoro. Spiegazione accettabile – fu
verbalizzato negli atti del processo- con cautela. Nel buio della
notte parteciparono alla sommossa parecchie decine di soldati e non
tutti avevano bevuto. Alle ore 22 era suonata l’adunata e già
diversi gregari “rumorosamente chiassanti” si erano presentati
nella piazza dove avveniva l’inquadramento. Gli alpini di Casa
Bertani non si erano raggruppati e arrivavano sul luogo del raduno
alla spicciolata, mentre dal loro accampamento si udirono clamori e
spari fino alle 23. Furono esplosi un centinaio di colpi, ma un
carabiniere depose al processo di Vicenza che furono sparate
centinaia di fucilate. Sulla piazza municipale i due capitani
alquanto perplessi (particolarmente il di Rienzo) pensavano di
sospendere la marcia verso la stazione, ma poi visto rafforzato il
numero dei graduati, e giunto nel contempo l’ordine perentorio del
comandante del battaglione, che informato a Poiano di ciò che
accadeva, si portava a Quinto dopo aver avvisato il Comando di
Fortezza e i carabinieri di Verona. Gli ufficiali ordinarono quindi
ai reparti di mettersi in marcia verso Verona e non fecero l’appello
o il riscontro delle presenze e dei partenti. In tal modo si
concludeva la prima fase della rivolta.
I molti soldati che non
si erano presentati decisero di seguire il cammino dei compagni
incolonnati dando avvio alla seconda fase della rivolta.
L’ammutinamento di questi alpini, spontaneo, protestatorio, non
organizzato, non poteva sfociare in una rivolta chiara e cosciente.
Non ci fu come pensarono i comandi “un deleterio lavorio di
propaganda sobillatrice”. Il buio e la densissima nebbia favorirono
l’anonimità dei soldati che sparavano non più in aria, ma ora
venivano prese di mira le lampadine elettriche della strada, cioè i
soldati cercavano dei bersagli. Durante il trasferimento i gruppetti
che seguivano continuarono a sparare e sembrò ad alcuni ufficiali
che gli spari fossero alcune decine, contrariamente ad altri
testimoni che sostennero che gli spari furono 400-500. Certamente una
esagerazione. A Poiano la colonna degli alpini partiti da Quinto si
congiunse ai fanti mossisi da quel accantonamento. Con questi ultimi
vi erano pure alpini del 5° reggimento. Sia i soldati di fanteria
sia gli alpini biasimarono i soldati di Casa Bertani. Con l’arrivo
alla stazione ferroviaria di Porta Vescovo, con la presenza di
numerosi carabinieri si concludeva la seconda fase degli spari. Fu
avviata immediatamente una inchiesta, controllati i fucili se
avevano la canna calda e se ai soldati tutti non mancassero le
prescritte munizioni. Furono arrestati in un primo momento 9 soldati
a cui si aggiunsero altri tre per ordine del maggiore comandante il
Reparto B.
I dodici soldati furono
denunciati al Tribunale Militare di Guerra Intendenza 1° Armata per
il reato di rivolta (art.114) e portati alle carceri di Vicenza il
giorno stesso 14.11.1916. Essi erano:
Chini Luigi Pietro di
Emanuele e Antonietta Tassoni nato a Verona il 15.6.1886, impiegato,
incensurato, alfabeta, caporale del 6° reggimento alpini,
battaglione Verona, soldato volontario per la durata della guerra dal
7.6.1915. Matricola n. 23765.
Faccioli Vittorio di
Romano e Maria Avanzi nato a Villafranca l’118.1894. Macellaio,
alfabeta, incensurato, caporale 6° reggimento alpini battaglione
Verona.
Zordan Guglielmo di
Angelo e Pennato Giuseppa nato l’8.8. 1885 a San Rocco di Roveré.
Contadino, incensurato, alfabeta. Soldato 6° reggimento alpini
battaglione Verona, matricola n. 18338.
Lonardi Guglielmo di
Giuseppe e Ferrari Carolina nato a Sandrà il 12.5.1884. Contadino,
incensurato, alfabeta. Soldato 6° reggimento alpini battaglione Val
d’Adige.
Braga Anacleto di Luigi e
Drago Angela nato a Lonigo 23.5.1884. Bracciante , incensurato,
alfabeta. Soldato 6° reggimento alpini battaglione Val Leogra.
Bertan Leone nato a
Grezzano 19.8.18091. Contadino incensurato,alfabeta. Soldato 5°
reggimento alpini battaglione Val d’Adige.
Comai Giovanni di
Battista nato a Gussano (Brescia) 21.3.1896. Tornitore, incensurato,
alfabeta. Soldato alpino nel battaglione Monte Suello.
Massa Paolo fu Camillo e
Galleso Maria nato il 18.7.1886. Calzolaio, incensurato, alfabeta.
Soldato 3° reggimento alpini battaglione Pinerolo.
Negrello Angelo fu
Francesco e Lazzaretto Antonia nato a Valstagna il 22.4.1895.
Contadino, alfabeta, incensurato. Soldato 6° reggimento alpini
battaglione Bassano.
Rossetti Angelo fu
Costantino e Viola Caterina nato a Novara il 30.8.1885. Falegname,
incensurato. Soldato 4° reggimento alpini battaglione Monte Cervino.
Castagna Marcellino di
Pietro e fu Mattucci Luigia nato a Badia Calavena il 29.6.1883.
Incensurato alfabeta. Soldato 6° reggimento alpini battaglione
Verona.
Sebastian Giuseppe di
Teodoro e Cura Pagliani Margherita nato a Iemme (Novara) 9.10.1895.
Calzolaio incensurato, alfabeta. Soldato 4° reggimento alpini
battaglione Aosta.
Dopo l’appello e dopo
aver proceduto agli arresti dei dodici soldati, risultò a tre
soldati presenti di non essere stati chiamati e decisero di tornare a
Quinto. Essi si chiamavano:
Tessari Anselmo di
Giuseppe e Menegaro Teresa nato a Ronco all’Adige il 15.1.1892.
Contadino, incensurato, alfabeta. Soldato 6° reggimento alpini
battaglione Verona. Partecipò alla guerra di Libia col 6° e 7°
reggimento alpini dal 30.12.1912 al 2.8.1914. Nella guerra italo
austriaca riportò ferita da scheggia di bomba a mano 23.7.1916 (per
la quale convalescente si trovò a Quinto), matricola n.39012.
Benetti Remigio fu Marco
e Cavalleri Margherita nato a Sant’Ambrogio il 14.4.1890.
Sarto,celibe,incensurato,alfabeta. Soldato 6° reggimento alpini
battaglione Verona.
Tonoli Erminio di Luigi e
Bertaiola Luigia nato a Valeggio sul Mincio il 17.9.1884. contadino
incensurato. Soldato 6° reggimento alpini battaglione Monte Berico.
I tre giunti a Casa
Bertani furono fermati da un sergente che esaminò lo stato dei
fucili e constatò, particolarmente sull’arma di Tonoli Erminio
tracce di sparo. Vennero anch’essi arrestati e immediatamente
condotti alla stazione di Porta Vescovo. Intanto alla stazione di
Verona il treno che doveva partire alle 3.40 si mosse alle 4.30 dopo
che furono fatti salire tutti i soldati compresi quelli agli
arresti. Il convoglio messosi in moto percorse i 50 chilometri da
Verona a Vicenza con una lentezza esagerata. Giunse alla stazione
berica alle ore 7; nel frattempo sul treno si compì la terza fase
della rivolta. Fino a Tavernelle tutto proseguì in ordine, poi,
giunti all’altezza del paese avvennero atti di protesta di minore
intensità rispetto a quelli precedenti che si quantificarono con
spari di 20-30 colpi di fucile e poche grida. A Vicenza fu passata in
rassegna tutte le armi e le munizioni e furono fermati i soldati
mancanti di proiettili e aventi i fucili caldi per recenti spari.
Vennero arrestati nove alpini: essi risultarono essere:
Chuc Luigi di Pietro e
Breve Eleonora nato a San Cristoforo (Torino) il 6.6.1887. contadino,
incensurato, alfabeta. Soldato 4° reggimento alpini battaglione
Cervino.
Herin Enrico di Pietro e
Valot Lodivina nato in Val Tournanche (Torino) l’1.9.1893.
Contadino, incensurato, alfabeta. Soldato 4° reggimento alpini
battaglione Monte Cervino.
Nouchy Anselmo di
Alessandro e Picciotti Giulia nato a Torino l’1.2.1895. Contadino,
incensurato, alfabeta. Soldato 4° reggimento alpini battaglione
Monte Cervino.
Mussano Giuseppe di
Francesco nato a Ivrea il 29.4.1884. Contadino, incensurato,
alfabeta. Soldato 4° reggimento alpini battaglione Monte Cervino.
Ritti Giovanni di N N
nato a Quarto di Aosta il 13.3.1895. Contadino, incensurato,
alfabeta. Soldato 4° reggimento alpini battaglione Monte Cervino.
Dusani Serafino di Gianni
Augusto nato Chatillon il 15.6.1884. Contadino incensurati, alfabeta.
Soldato 4° reggimento alpini battaglione Monte Cervino.
Magliani Domenico di
Francesco e Balistra Caterina nato a Vallosia Marittima (Porto
Maurizio) l’11.2.1889. Agricoltore, incensurato, alfabeta. Soldato
4° reggimento alpini battaglione Monte Rosa.
Avvenente Salvatore di
Giuseppe e Fovanza Rosa nato a Cuzzago 7.7.1891. Pittore,
incensurato, alfabeta. Soldato 4° reggimento alpini battaglione
Monte Rosa.
Campagnolo Cesare di
Giroli Ancilla nato Sirmione il 23.2.1896. contadino, incensurato,
alfabeta. Soldato 5° reggimento alpini battaglione Monte Suello.
Tutti i 24 soldati furono
incarcerati il 14.11.1916 e messi a disposizione del Tribunale
Militare di guerra per l’Intendenza della 1° Armata che si riunì
a Vicenza il 15.11.1916 per disposizione del Comando Supremo per
giudicare sommariamente i militari ammutinatisi. Il collegio
giudicante era formato dal colonnello Marucco Stefano, presidente;
dai giudici tenenti colonnelli Bonevento Alviro, De Franceschi
Edoardo, Lomellini Leone, dai maggiori Ritetti Achille, Gelmetti
Giovanni e dall’avvocato militare Panato mentre gli avvocati
difensori erano Sartori e Tito Galla. Che cercarono di rinviare il
processo per portare documentazioni in favore di alcuni imputati. Il
Tribunale respinse le eccezioni e in direttissima in due giorni si
fece l’istruttoria e la causa.
I 24 soldati imputati
furono giudicati in forza dell’articolo 114 del Codice Penale
Esercito responsabili di aver preso le armi in loro dotazione senza
essere autorizzati e aver agito contro i loro capi; inoltre essere
responsabili di ammutinamento attuato da parecchie decine di soldati
noti e ignoti avvenuto dopo la suonata del raduno delle ore 22 (è
sufficiente l’intesa minima di quattro soldati per essere ritenuto
ammutinamento). Il Tribunale constatò che tutti gli imputati erano
alpini di cui nove appartenenti al 6° reggimento alpini, biasimò
che da tale corpo militare fossero scaturiti episodi di indisciplina
e di danno al morale dell’esercito e alla popolazione,
particolarmente quando questi dolorosi episodi avvengono nella
immediata partenza per le zone d’operazione e particolarmente da
reduci del fronte come nel caso dei giudicabili:
“Per l’elemento
morale, necessario al sintetico giudizio dei fatti, va anche
rammentato che i soldati che trascesero così gravemente sono tutti
reduci dal fronte, o per malattia o per ferite, ed appartengono ad un
corpo singolarmente sacro alla ammirazione ed alla gratitudine della
Patria : considerazioni queste di indubbia influenza anche sul grado
di responsabilità penale dei partecipanti al reato perché la
consapevolezza delle esigenze di guerra derivata da personale
esperienza e l’orgoglio militare avrebbe dovuto maggiormente
rinsaldare i sani principi della disciplina ed è evidente che
maggiormente delinque chi deve vincere freni morali più forti”.
Il presidente interrogò
gli accusati e tutti manifestarono volontà concorde negli illeciti
eventi. Fece inoltre fare una perizia alle armi dei nove soldati
arrestati a Vicenza. Il perito balistico escluse che i fucili
avessero sparato.
L’avvocato militare
chiese la condanna a morte per Chini, Faccioli, Negrello e la
condanna a sette anni per altri sei soldati. La difesa invocò il
beneficio dell’articolo 57 sulla seminfermità di mente per i tre
agenti principali e per gli altri il minimo della pena. Il Tribunale
Militare di guerra dell’Intendenza 1° Armata di Vicenza sentenziò
le seguenti pene:
Chini Luigi, Faccioli
Vittorio, Zordan Guglielmo, Negrello Angelo ritenuti agenti
principali pena di anni 20 ciascuno. Comai Giovanni e Sebastian
Giuseppe anni sette di reclusione militare. Castagna Marcellino anni
5 e Tessari Anselmo anni tre.
Chuc Luigi, Herin Enrico,
Nouchy Anselmo, Mussano Giuseppe, Ritti Giovanni, Dusani Serafino,
Maglioni Domenico, Avvenente Salvatore, Campagnolo Cesare non luogo
per inesistenza reato.
Braga Anacleto, Bertan
Leone, Massa Paolo, Lonardi Guglielmo, Rossetti Angelo, Benetti
Remigio, Tonoli Erminio assolti per non provata reità.
Con provvedimento del
Tribunale Supremo il 28.9.1928 fu ridotta a Chini Luigi la pena ad
anni dieci condizionali per l’amnistia del 2.9.1919. Si deduce che
tale riduzione di pena possa essere stata estesa anche agli altri tre
soldati condannati a 20 anni.
I fatti di Quinto non si
esaurirono con le condanne comminate ai soldati dal Tribunale
militare di Vicenza. Il comandante della fortezza di Verona generale
Gobbo trasmise all’Avvocato militare del Tribunale di guerra di
Verona la richiesta del comandante della 1° Armata che ordinava di
procedere nei confronti dei due capitani che erano a Quinto. Essi
furono sottoposti a giudizio sulle responsabilità derivanti dal loro
comportamento nei fatti rivoltosi descritti e l’inchiesta fu
condotta dai generali Mariani e Guerrini. Il capitano che doveva
scortare gli uomini a Verona si chiamava Capelli Filippo di Alberto e
Repetto Maria nato ad Aqui il 2.11.1872, ammogliato con due figli,
incensurato, capo ufficio alla Banca Commerciale . Capitano di
riserva del Deposito del 62° reggimento fanteria. Più grave sembrò
la posizione del comandante degli accantonamenti di Quinto, il già
citato Di Rienzo Enrico. Questo ufficiale era nato a Vasto il
17.4.1878. alla chiamata per mobilitazione comandò un reparto del
65° reggimento fanteria. Combatté in zona d’operazione
sull’Isonzo dal 19.9.1915 al 28.6.1916. Si comportò
coraggiosamente a Santa Maria di Tolmino e gli fu assegnata la
medaglia di bronzo per la sua intrepidezza nelle giornate di
combattimento del 30/9, 21/11, 1/12 1915. Venne proposto al grado di
maggiore della M. T. , ma la promozione non ebbe corso perché il Di
Rienzo non si comportò bene nel combattimento del 17 e 18 marzo
1916, sempre a Santa Maria, dimostrando deficienza di comando. Tali
limiti caratteriali di comando li dimostrò anche a Quinto.Egli non
si mosse dalla sua sede, ubicata nel Municipio per andare a Casa
Bertani né quando sentì lo sparto esplose dal volontario ferimento
dell’alpino Tosi Bruno né quando i colpi di fucile si ripeterono
insistentemente. A sua giustificazione stava in quei giorni soffrendo
di acuti dolori artritici al ginocchio. Tuttavia, pur soffrendo,
aveva proceduto ad ispezionare le osterie del paese per controllare
se c’erano soldati (a Quinto vi erano tre trattorie-caffè e un
certo numero di osterie). Finito il percorso del controllo giunse
nella piazza e vide il capitano Capelli, si accostò a lui e gli
chiese alquanto perplesso cosa doveva fare, confermando ancora una
volta di avere pochissima energia. Il Capelli, come ufficiale più
anziano avrebbe dovuto provvedere a far cessare la rivolta ed
assumersi l’impegno del comando, invece si giustificò nel corso
dell’inchiesta a suo carico dicendo che lui si trovava a Quinto
solo per scortare i soldati alla stazione di Porta Vescovo in Verona.
Il Di Rienzo fu punito a Quinto con 10 giorni di prigione di rigore e
20 giorni di prigione semplice. Poi avviata l’inchiesta del
generale Guerrini i due capitani incriminati furono messi agli
arresti per il reato all’articolo 117 del C.P.E.dal 21.1.1917 alla
conclusione delle indagini avvenute il 28.3.1917. Da quella data i
due ufficiali per ordine dell’Avvocato militare furono liberati e
assolti perché la condotta tenuta a Quinto di Valpantena durante la
rivolta dei soldati non costituisce reato
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