sabato 9 febbraio 2013

Ammutinamento e rivolta a Quinto di Valpolicella.



Non c’è storico della guerra italo austriaca del 1915-1918 che non dedichi spazio agli ammutinamenti e alle rivolte armate che avvennero nell’esercito italiano nel 1917. La più grave fu la rivolta della brigata Catanzaro con la morte e ferimenti di soldati e ufficiali e quando dopo una notte di spari la rivolta fu repressa, essa diede avvio a ripetute fucilazioni dei rivoltosi. Il 1917 fu un anno difficile per la stanchezza dell’esercito: la condanna della guerra da parte del Papa e le parole di speranza dette in Parlamento: “Non più un altro inverno in trincea” erano parole che avrebbero potuto diventare spinte rivoluzionarie. Fu un anno carico di incognite il 1917 che lo sfondamento di Caporetto modificò radicalmente sul Piave le condizioni dell’Isonzo. Alla luce di quei fatti e dall’esame delle buste di processi contro soldati imputati di ammutinamenti e rivolte si sa che pure nel territorio veronese ci fu, molti mesi prima dell’esplosione di rivolta della brigata Catanzaro, un ammutinamento di soldati con spari, distruzione di materiali da casermaggio e urla contro la guerra. La documentazione che svela la rivolta veronese si trova negli atti del processo del Tribunale militare di guerra Intendenza 1° Armata che giudico 24 soldati ritenuti responsabili degli episodi sedizioni. (1° nota. ASVr, TMVr, Fascicolo personale 77/1917).

A Quinto di Valpantena, in tre edifici, l’esercito aveva stabilito un Deposito di convalescenza e Tappa, Reparto B, che raccoglieva i soldati dimessi dagli ospedali dopo le cure ricevute per sanare le ferite subite o le malattie contratte al fronte. Per distinguere bene gli edifici era stato dato loro un nome convenzionale: Scuole, Mosconi, Casa Bertani. Gli occupanti erano soldati del 4°,5°,6° reggimento alpini, con prevalenza di questi ultimi. La truppa era accantonata nei tre edifici mentre il comandante di questi uomini, il capitano di M.T. Di Rienzo Enrico alloggiava in una stanza del Municipio distante dagli accantonamenti 450 metri. Verso le ore 14, 14.30 del 13 novembre giunse al comandante Di Rienzo l’ordine di predisporre la partenza di 237 alpini che dovevano essere condotti alla stazione ferroviaria di Porta Vescovo in Verona per proseguire in treno fino a Vicenza dove poi sarebbero stati destinati come complementi a varie unità al fronte. Incaricato a condurre la colonna in marcia verso Verona degli alpini e cento fanti (accantonati questi a Poiano, sede del comando di battaglione) fu un capitano della riserva del Deposito del 62° reggimento fanteria. Egli giunse a Quinto sul far della sera del 13 novembre. L’ordine trasmessi al comandante del Deposito Convalescenza e Tappa stabiliva che i reparti dovevano essere equipaggiati e pronti per la marcia di trasferimento alle ore 23 del 13 novembre. Luogo di raduno la piazza del paese di Quinto distante 500 metri da Casa Bertani. Saputo l’ordine una forte tensione nervosa pervase i soldati che dovevano partire, molti dei quali temevano, perché sapevano, che la licenza invernale non sarebbe più stata concessa. Tuttavia fino a sera tutto procedette regolarmente. Il capitano Di Rienzo nel timore che qualche soldato ubriaco sfogasse l’ira del suo stato d’animo, avrebbe voluto che le osterie del paese fossero chiuse alle ore 20, il sindaco si oppose perché, disse, ciò provocava malcontento nei soldati già depressi e fece tenere aperte le osterie fino alle 22. Già qualche soldato era ubriaco, quando intorno alle 20.30 si udì uno sparo. Il capitano di Rienzo udì la detonazione, ma non si mosse dal suo alloggiamento. Si seppe poi che il colpo di fucile era stato sparato dall’alpino Tosi Bruno che si ferì volontariamente alla mano sinistra per non partire. L’adunata nella piazza del Municipio era fissata per le ore 21 , ma il drappello di Casa Bertani alle 22 non era ancora giunto. Queste situazioni fecero aumentare la tensione ed essa sfociò in aperto ammutinamento e rivolta quando dalla prigione dove erano stati puniti di rigore per essersi allontanati arbitrariamente dal reparto, uscirono due caporale Chini Luigi e Faccioli Vittorio e due soldati Lonardi Guglielmo e Bertal Leone i quali si presentarono esacerbati e decisi (ma il tribunale li definì arroganti e indisciplinati)al sottufficiale di fureria per riscuotere il soldo e prendere l’equipaggiamento. Il sergente di fureria seccato mandò via i quattro dicendo loro che prima di partire avrebbero tutto ricevuto. Verso le ore 21-21.30 si udirono i primi spari. Anche in questo caso il Di Rienzo non si mosse ma inviò verso Casa Bertani una pattuglia e poi un sottotenente per riferire poi cosa stava accadendo. Gli spari ebbero un crescendo impressionante; essi erano intercalati da grida di “abbasso la guerra, vogliamo la pace, siamo stufi” e altre frasi di protesta. Da Casa Bertani furono esplosi una quindicina di colpi. Gli ufficiali accorsero subito per accertare i fatti, nel frattempo i soldati, dopo aver spento ogni lume e favoriti dal fatto che la casa era suddivisa in piccoli ambienti poterono sfuggire e raggiunto l’esterno ripresero a sparare in aria numerosi colpi. All0interno della casa la protesta degli alpini non era cessata: dalle finestre gettarono pagliericci, telai di finestre, ruppero tutti i vetri. Vennero colti mentre sparavano e furono ritenuti tra i maggiori responsabili i caporali Chini e Faccioli e i soldati Negrello e Zordan. Chini e Faccioli salirono nella camerata dove era loro proibito accedere perché non dovevano nulla prendere e afferrati fucili di altri soldati spararono dalle finestre e lanciarono grida. Il sottotenente comandante l’accantonamento di Casa Bertani dichiarò durante il processo che quella notte a Casa Bertani pareva di essere in trincea ma, precisò non alla quantità del fuoco ma al molto lavoro. Spiegazione accettabile – fu verbalizzato negli atti del processo- con cautela. Nel buio della notte parteciparono alla sommossa parecchie decine di soldati e non tutti avevano bevuto. Alle ore 22 era suonata l’adunata e già diversi gregari “rumorosamente chiassanti” si erano presentati nella piazza dove avveniva l’inquadramento. Gli alpini di Casa Bertani non si erano raggruppati e arrivavano sul luogo del raduno alla spicciolata, mentre dal loro accampamento si udirono clamori e spari fino alle 23. Furono esplosi un centinaio di colpi, ma un carabiniere depose al processo di Vicenza che furono sparate centinaia di fucilate. Sulla piazza municipale i due capitani alquanto perplessi (particolarmente il di Rienzo) pensavano di sospendere la marcia verso la stazione, ma poi visto rafforzato il numero dei graduati, e giunto nel contempo l’ordine perentorio del comandante del battaglione, che informato a Poiano di ciò che accadeva, si portava a Quinto dopo aver avvisato il Comando di Fortezza e i carabinieri di Verona. Gli ufficiali ordinarono quindi ai reparti di mettersi in marcia verso Verona e non fecero l’appello o il riscontro delle presenze e dei partenti. In tal modo si concludeva la prima fase della rivolta.
I molti soldati che non si erano presentati decisero di seguire il cammino dei compagni incolonnati dando avvio alla seconda fase della rivolta. L’ammutinamento di questi alpini, spontaneo, protestatorio, non organizzato, non poteva sfociare in una rivolta chiara e cosciente. Non ci fu come pensarono i comandi “un deleterio lavorio di propaganda sobillatrice”. Il buio e la densissima nebbia favorirono l’anonimità dei soldati che sparavano non più in aria, ma ora venivano prese di mira le lampadine elettriche della strada, cioè i soldati cercavano dei bersagli. Durante il trasferimento i gruppetti che seguivano continuarono a sparare e sembrò ad alcuni ufficiali che gli spari fossero alcune decine, contrariamente ad altri testimoni che sostennero che gli spari furono 400-500. Certamente una esagerazione. A Poiano la colonna degli alpini partiti da Quinto si congiunse ai fanti mossisi da quel accantonamento. Con questi ultimi vi erano pure alpini del 5° reggimento. Sia i soldati di fanteria sia gli alpini biasimarono i soldati di Casa Bertani. Con l’arrivo alla stazione ferroviaria di Porta Vescovo, con la presenza di numerosi carabinieri si concludeva la seconda fase degli spari. Fu avviata immediatamente una inchiesta, controllati i fucili se avevano la canna calda e se ai soldati tutti non mancassero le prescritte munizioni. Furono arrestati in un primo momento 9 soldati a cui si aggiunsero altri tre per ordine del maggiore comandante il Reparto B.
I dodici soldati furono denunciati al Tribunale Militare di Guerra Intendenza 1° Armata per il reato di rivolta (art.114) e portati alle carceri di Vicenza il giorno stesso 14.11.1916. Essi erano:
Chini Luigi Pietro di Emanuele e Antonietta Tassoni nato a Verona il 15.6.1886, impiegato, incensurato, alfabeta, caporale del 6° reggimento alpini, battaglione Verona, soldato volontario per la durata della guerra dal 7.6.1915. Matricola n. 23765.
Faccioli Vittorio di Romano e Maria Avanzi nato a Villafranca l’118.1894. Macellaio, alfabeta, incensurato, caporale 6° reggimento alpini battaglione Verona.
Zordan Guglielmo di Angelo e Pennato Giuseppa nato l’8.8. 1885 a San Rocco di Roveré. Contadino, incensurato, alfabeta. Soldato 6° reggimento alpini battaglione Verona, matricola n. 18338.
Lonardi Guglielmo di Giuseppe e Ferrari Carolina nato a Sandrà il 12.5.1884. Contadino, incensurato, alfabeta. Soldato 6° reggimento alpini battaglione Val d’Adige.
Braga Anacleto di Luigi e Drago Angela nato a Lonigo 23.5.1884. Bracciante , incensurato, alfabeta. Soldato 6° reggimento alpini battaglione Val Leogra.
Bertan Leone nato a Grezzano 19.8.18091. Contadino incensurato,alfabeta. Soldato 5° reggimento alpini battaglione Val d’Adige.
Comai Giovanni di Battista nato a Gussano (Brescia) 21.3.1896. Tornitore, incensurato, alfabeta. Soldato alpino nel battaglione Monte Suello.
Massa Paolo fu Camillo e Galleso Maria nato il 18.7.1886. Calzolaio, incensurato, alfabeta. Soldato 3° reggimento alpini battaglione Pinerolo.
Negrello Angelo fu Francesco e Lazzaretto Antonia nato a Valstagna il 22.4.1895. Contadino, alfabeta, incensurato. Soldato 6° reggimento alpini battaglione Bassano.
Rossetti Angelo fu Costantino e Viola Caterina nato a Novara il 30.8.1885. Falegname, incensurato. Soldato 4° reggimento alpini battaglione Monte Cervino.
Castagna Marcellino di Pietro e fu Mattucci Luigia nato a Badia Calavena il 29.6.1883. Incensurato alfabeta. Soldato 6° reggimento alpini battaglione Verona.
Sebastian Giuseppe di Teodoro e Cura Pagliani Margherita nato a Iemme (Novara) 9.10.1895. Calzolaio incensurato, alfabeta. Soldato 4° reggimento alpini battaglione Aosta.
Dopo l’appello e dopo aver proceduto agli arresti dei dodici soldati, risultò a tre soldati presenti di non essere stati chiamati e decisero di tornare a Quinto. Essi si chiamavano:
Tessari Anselmo di Giuseppe e Menegaro Teresa nato a Ronco all’Adige il 15.1.1892. Contadino, incensurato, alfabeta. Soldato 6° reggimento alpini battaglione Verona. Partecipò alla guerra di Libia col 6° e 7° reggimento alpini dal 30.12.1912 al 2.8.1914. Nella guerra italo austriaca riportò ferita da scheggia di bomba a mano 23.7.1916 (per la quale convalescente si trovò a Quinto), matricola n.39012.
Benetti Remigio fu Marco e Cavalleri Margherita nato a Sant’Ambrogio il 14.4.1890. Sarto,celibe,incensurato,alfabeta. Soldato 6° reggimento alpini battaglione Verona.
Tonoli Erminio di Luigi e Bertaiola Luigia nato a Valeggio sul Mincio il 17.9.1884. contadino incensurato. Soldato 6° reggimento alpini battaglione Monte Berico.
I tre giunti a Casa Bertani furono fermati da un sergente che esaminò lo stato dei fucili e constatò, particolarmente sull’arma di Tonoli Erminio tracce di sparo. Vennero anch’essi arrestati e immediatamente condotti alla stazione di Porta Vescovo. Intanto alla stazione di Verona il treno che doveva partire alle 3.40 si mosse alle 4.30 dopo che furono fatti salire tutti i soldati compresi quelli agli arresti. Il convoglio messosi in moto percorse i 50 chilometri da Verona a Vicenza con una lentezza esagerata. Giunse alla stazione berica alle ore 7; nel frattempo sul treno si compì la terza fase della rivolta. Fino a Tavernelle tutto proseguì in ordine, poi, giunti all’altezza del paese avvennero atti di protesta di minore intensità rispetto a quelli precedenti che si quantificarono con spari di 20-30 colpi di fucile e poche grida. A Vicenza fu passata in rassegna tutte le armi e le munizioni e furono fermati i soldati mancanti di proiettili e aventi i fucili caldi per recenti spari. Vennero arrestati nove alpini: essi risultarono essere:
Chuc Luigi di Pietro e Breve Eleonora nato a San Cristoforo (Torino) il 6.6.1887. contadino, incensurato, alfabeta. Soldato 4° reggimento alpini battaglione Cervino.
Herin Enrico di Pietro e Valot Lodivina nato in Val Tournanche (Torino) l’1.9.1893. Contadino, incensurato, alfabeta. Soldato 4° reggimento alpini battaglione Monte Cervino.
Nouchy Anselmo di Alessandro e Picciotti Giulia nato a Torino l’1.2.1895. Contadino, incensurato, alfabeta. Soldato 4° reggimento alpini battaglione Monte Cervino.
Mussano Giuseppe di Francesco nato a Ivrea il 29.4.1884. Contadino, incensurato, alfabeta. Soldato 4° reggimento alpini battaglione Monte Cervino.
Ritti Giovanni di N N nato a Quarto di Aosta il 13.3.1895. Contadino, incensurato, alfabeta. Soldato 4° reggimento alpini battaglione Monte Cervino.
Dusani Serafino di Gianni Augusto nato Chatillon il 15.6.1884. Contadino incensurati, alfabeta. Soldato 4° reggimento alpini battaglione Monte Cervino.
Magliani Domenico di Francesco e Balistra Caterina nato a Vallosia Marittima (Porto Maurizio) l’11.2.1889. Agricoltore, incensurato, alfabeta. Soldato 4° reggimento alpini battaglione Monte Rosa.
Avvenente Salvatore di Giuseppe e Fovanza Rosa nato a Cuzzago 7.7.1891. Pittore, incensurato, alfabeta. Soldato 4° reggimento alpini battaglione Monte Rosa.
Campagnolo Cesare di Giroli Ancilla nato Sirmione il 23.2.1896. contadino, incensurato, alfabeta. Soldato 5° reggimento alpini battaglione Monte Suello.
Tutti i 24 soldati furono incarcerati il 14.11.1916 e messi a disposizione del Tribunale Militare di guerra per l’Intendenza della 1° Armata che si riunì a Vicenza il 15.11.1916 per disposizione del Comando Supremo per giudicare sommariamente i militari ammutinatisi. Il collegio giudicante era formato dal colonnello Marucco Stefano, presidente; dai giudici tenenti colonnelli Bonevento Alviro, De Franceschi Edoardo, Lomellini Leone, dai maggiori Ritetti Achille, Gelmetti Giovanni e dall’avvocato militare Panato mentre gli avvocati difensori erano Sartori e Tito Galla. Che cercarono di rinviare il processo per portare documentazioni in favore di alcuni imputati. Il Tribunale respinse le eccezioni e in direttissima in due giorni si fece l’istruttoria e la causa.
I 24 soldati imputati furono giudicati in forza dell’articolo 114 del Codice Penale Esercito responsabili di aver preso le armi in loro dotazione senza essere autorizzati e aver agito contro i loro capi; inoltre essere responsabili di ammutinamento attuato da parecchie decine di soldati noti e ignoti avvenuto dopo la suonata del raduno delle ore 22 (è sufficiente l’intesa minima di quattro soldati per essere ritenuto ammutinamento). Il Tribunale constatò che tutti gli imputati erano alpini di cui nove appartenenti al 6° reggimento alpini, biasimò che da tale corpo militare fossero scaturiti episodi di indisciplina e di danno al morale dell’esercito e alla popolazione, particolarmente quando questi dolorosi episodi avvengono nella immediata partenza per le zone d’operazione e particolarmente da reduci del fronte come nel caso dei giudicabili:

“Per l’elemento morale, necessario al sintetico giudizio dei fatti, va anche rammentato che i soldati che trascesero così gravemente sono tutti reduci dal fronte, o per malattia o per ferite, ed appartengono ad un corpo singolarmente sacro alla ammirazione ed alla gratitudine della Patria : considerazioni queste di indubbia influenza anche sul grado di responsabilità penale dei partecipanti al reato perché la consapevolezza delle esigenze di guerra derivata da personale esperienza e l’orgoglio militare avrebbe dovuto maggiormente rinsaldare i sani principi della disciplina ed è evidente che maggiormente delinque chi deve vincere freni morali più forti”.

Il presidente interrogò gli accusati e tutti manifestarono volontà concorde negli illeciti eventi. Fece inoltre fare una perizia alle armi dei nove soldati arrestati a Vicenza. Il perito balistico escluse che i fucili avessero sparato.
L’avvocato militare chiese la condanna a morte per Chini, Faccioli, Negrello e la condanna a sette anni per altri sei soldati. La difesa invocò il beneficio dell’articolo 57 sulla seminfermità di mente per i tre agenti principali e per gli altri il minimo della pena. Il Tribunale Militare di guerra dell’Intendenza 1° Armata di Vicenza sentenziò le seguenti pene:
Chini Luigi, Faccioli Vittorio, Zordan Guglielmo, Negrello Angelo ritenuti agenti principali pena di anni 20 ciascuno. Comai Giovanni e Sebastian Giuseppe anni sette di reclusione militare. Castagna Marcellino anni 5 e Tessari Anselmo anni tre.
Chuc Luigi, Herin Enrico, Nouchy Anselmo, Mussano Giuseppe, Ritti Giovanni, Dusani Serafino, Maglioni Domenico, Avvenente Salvatore, Campagnolo Cesare non luogo per inesistenza reato.
Braga Anacleto, Bertan Leone, Massa Paolo, Lonardi Guglielmo, Rossetti Angelo, Benetti Remigio, Tonoli Erminio assolti per non provata reità.
Con provvedimento del Tribunale Supremo il 28.9.1928 fu ridotta a Chini Luigi la pena ad anni dieci condizionali per l’amnistia del 2.9.1919. Si deduce che tale riduzione di pena possa essere stata estesa anche agli altri tre soldati condannati a 20 anni.
I fatti di Quinto non si esaurirono con le condanne comminate ai soldati dal Tribunale militare di Vicenza. Il comandante della fortezza di Verona generale Gobbo trasmise all’Avvocato militare del Tribunale di guerra di Verona la richiesta del comandante della 1° Armata che ordinava di procedere nei confronti dei due capitani che erano a Quinto. Essi furono sottoposti a giudizio sulle responsabilità derivanti dal loro comportamento nei fatti rivoltosi descritti e l’inchiesta fu condotta dai generali Mariani e Guerrini. Il capitano che doveva scortare gli uomini a Verona si chiamava Capelli Filippo di Alberto e Repetto Maria nato ad Aqui il 2.11.1872, ammogliato con due figli, incensurato, capo ufficio alla Banca Commerciale . Capitano di riserva del Deposito del 62° reggimento fanteria. Più grave sembrò la posizione del comandante degli accantonamenti di Quinto, il già citato Di Rienzo Enrico. Questo ufficiale era nato a Vasto il 17.4.1878. alla chiamata per mobilitazione comandò un reparto del 65° reggimento fanteria. Combatté in zona d’operazione sull’Isonzo dal 19.9.1915 al 28.6.1916. Si comportò coraggiosamente a Santa Maria di Tolmino e gli fu assegnata la medaglia di bronzo per la sua intrepidezza nelle giornate di combattimento del 30/9, 21/11, 1/12 1915. Venne proposto al grado di maggiore della M. T. , ma la promozione non ebbe corso perché il Di Rienzo non si comportò bene nel combattimento del 17 e 18 marzo 1916, sempre a Santa Maria, dimostrando deficienza di comando. Tali limiti caratteriali di comando li dimostrò anche a Quinto.Egli non si mosse dalla sua sede, ubicata nel Municipio per andare a Casa Bertani né quando sentì lo sparto esplose dal volontario ferimento dell’alpino Tosi Bruno né quando i colpi di fucile si ripeterono insistentemente. A sua giustificazione stava in quei giorni soffrendo di acuti dolori artritici al ginocchio. Tuttavia, pur soffrendo, aveva proceduto ad ispezionare le osterie del paese per controllare se c’erano soldati (a Quinto vi erano tre trattorie-caffè e un certo numero di osterie). Finito il percorso del controllo giunse nella piazza e vide il capitano Capelli, si accostò a lui e gli chiese alquanto perplesso cosa doveva fare, confermando ancora una volta di avere pochissima energia. Il Capelli, come ufficiale più anziano avrebbe dovuto provvedere a far cessare la rivolta ed assumersi l’impegno del comando, invece si giustificò nel corso dell’inchiesta a suo carico dicendo che lui si trovava a Quinto solo per scortare i soldati alla stazione di Porta Vescovo in Verona. Il Di Rienzo fu punito a Quinto con 10 giorni di prigione di rigore e 20 giorni di prigione semplice. Poi avviata l’inchiesta del generale Guerrini i due capitani incriminati furono messi agli arresti per il reato all’articolo 117 del C.P.E.dal 21.1.1917 alla conclusione delle indagini avvenute il 28.3.1917. Da quella data i due ufficiali per ordine dell’Avvocato militare furono liberati e assolti perché la condotta tenuta a Quinto di Valpantena durante la rivolta dei soldati non costituisce reato

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